lunedì 1 aprile 2013

La palla a spicchi e l'origine del mondo

L'arbitro guarda prima a destra e poi a sinistra. Carica il braccio e lancia la palla in alto.
Prima che inizi  la parabola discendente, le tensioni accumulate sino a quel momento si scaricano in un brivido di adrenalina.
 
Tutto inizia due ore prima, quando arrivi al palazzetto che neanche hanno aperto i cancelli.
Passeggi nervosamente. Attacchi briga con le guardie ai varchi, tanto per far passare il tempo. Compri la sciarpa, l'ennesima, che poi regalerai a qualche amico.
 


Finalmente ti fanno entrare, fai lo scalone di cemento armato a tre a tre. Una volta dentro, solo, puoi sceglierti il posto migliore. Non troppo in basso, ché davanti avresti quelli della stampa. Né troppo in alto, perché altrimenti tanto valeva arrivare all'ultimo. Al centro sarebbe perfetto, se non fosse per gli spifferi di aria gelida, anche a maggio, che vengono dalle porte antincendio, rigorosamente spalancate.
  


Dopo qualche minuto qualcuno inizia a riscaldarsi. Primi arrivano i ragazzini, quelli che servono a fare numero e raccogliere gli asciugamani dei giocatori che entrano in campo. Come loro, ne approfitti per riscaldarti anche tu. Provi la posizione seduta, quella in piedi, lo scatto improvviso a pugno chiuso e l'urlo liberatorio. Tanto non ti vede nessuno. Tranne i ragazzini. Ma loro non contano.
   

Dopo un tempo interminabile arrivano gli altri. Il pivot lungo e sottile e il play così piccolo che per un attimo fa credere anche a te che potresti giocare a basket. Poi la guardia, che ogni volta che segna cadendo fa due flessioni per impressionare gli avversari. E l'ala piccola, così giovane che potrebbe essere tuo figlio. Ultima l'ala grande, che ha braccia lunghe e intelligenza d'altri tempi. Finalmente iniziano a fare la treccia e provare i tiri. Da sotto, dalla media, da lontano. Non entrano, meglio così: vorrà dire che entreranno tutti in partita. Entrano, ancora meglio: vuol dire che oggi la mano è calda e non ce n'è per nessuno. Guardi negli occhi i giocatori per leggerne l'umore e la voglia. 


Ad un certo punto escono tutti. Il palazzetto, intanto pieno, si zittisce. Dopo un attimo in cui trattieni il respiro, i giocatori rientrano correndo in fila indiana. Go West a tutto volume dagli altoparlanti che gracchiano. Sei in piedi ad applaudire e così il tuo vicino e tutti gli altri vicini, sino alla curva opposta.



Finito il rito dell'appello, il pivot prova i liberi mentre tutti gli altri vanno verso la panchina. Ne tira sino a quando non entrano due di fila. A volte può essere un tempo piuttosto lungo. Vedi mani che si battono e urla feroci gridate da pochi centimetri. I cinque prescelti tolgono la casacca da allenamento e vanno verso il centro del campo. 

L'arbitro guarda prima a destra e poi a sinistra. Carica il braccio e lancia la palla in alto.



Tremi con la stessa energia con la quale il bing bang ha dato avvio al mondo.

Si inizia.

2 commenti:

  1. Bellissimo. Mi sembrava di essere in quel palazzetto.
    Troppo tempo che non vado a vedere una partita, di pallavolo nel mio caso. Le scarpe che fischiano sul linoleum...

    RispondiElimina
  2. Grazie per le tue parole. Sei sempre molto cara.
    Sono appena tornato da una specie di piccolo evento.
    La mia squadra del cuore ha battuto i campioni d'Italia e per l'occasione al palazzetto sono stato accompagnato da un cinquenne, una settenne e una decenne per la prima volta ad una partita di basket.
    Indimenticabile e irraccontabile.

    RispondiElimina