Ci sta uno che passa le notti in
ambulanza, ci sta uno che pesca le anguille nel Tevere, ci sta uno
che è nobile ma s'annoia un sacco soprattutto con i lituani, ci sta
uno o una che ha una cara amica o un caro amico col camper e gli o le
piace cantare, ci sta un padre anziano che disturba la figlia mentre
studia, ci sta un dj di salsa e merengue, ci sta uno che ce l'ha coi parassiti, ci sta...
Ognuno ha la storia sua, ma sono storie
piccole, minime, e neanche si capisce dove finiscono, ammesso che
siano mai iniziate. Tranne quello con l'infarto che, non lo dicono,
ma per me non ce l'ha fatta.
Niente di ché, pensa uno. E invece no.
Perché poi esco e pedalo verso casa.
In via Rialto una ragazza, ricci castani che spuntano da un basco
nero di traverso, gambe lunghe e sottili sotto un cappottino beige e
una gonna nera e svolazzante, mi attraversa davanti e si avvia nel
buio dei portici. In via Pizzardi in un bar vuoto e illuminato a
giorno, un vecchio solo e vestito a festa, giacca nera camicia bianca
e cravatta con nodo grosso, sfoglia il giornale del mattino ormai
lontano. Il parco dell'Arcobaleno è deserto e solo mi accompagnano
la luce sfocata dei lampioni e il ronzio regolare della dinamo. In
via Marx le auto delle mamme si allontanano, un allenatore con in
spalla una rete piena di palloni attraversa il campo di calcio per raccogliere
pioli. Nella ciclabile di via Barbacci una signora, che s'intuisce
esser stata bellissima, tenta di convincere un cagnetto che piedi
puntati non ne vuol sapere di andare avanti e fissa terrorizzato il
buio.
Se non avessi visto
Sacro Gra, tutte queste storie mi sarebbero sfuggite, per sempre.
Avrei saputo meno e quindi visto e percepito meno.
E sarebbe stato un peccato, no?