Non tutto il male viene per nuocere.
Quando ero giovane potevo passare ore al telefono traendone piacere
infinito. Con l'età invece le telefonate sono diventate simili ad
una pratica da sbrigare più velocemente possibile. Temo sia un riflesso
condizionato dal lavoro, il meccanismo di difesa che inconsapevolmente
ho costruito per difendermi dalle centinaia di rompitori di scatole
all'altro capo del telefono.
Solo che ora non riesco ad abbandonare
il fare sbrigativo e poco partecipativo, neanche nelle chiamate
personali, neanche impegnandomi.
Però risparmio molto sulla bolletta.
Non tutto il male viene per nuocere.
domenica 22 settembre 2013
sabato 21 settembre 2013
"Mister, mi scaldo?", "No, che poi ti stanchi".
Torneo interaziendale. Dieci squadre,
partite cinque contro cinque della durata di quindici minuti. Folle di maschi sovrappeso
si affrontano all'ultimo respiro. Uno dei primi, tra l'altro.
Io, vicino ai quaranta, sono il più
giovane della mia squadra, la selezione della Provincia. Sento su di
me il peso dell'aspettativa.
Il sorteggio va male, girone di ferro.
La prima è contro la temibile armata della forestale. Gira voce, in
panchina, che il loro numero 5, alto grosso e peloso, si sia
preparato alla partita con 3 giorni di digiuno. Il piano partita è
chiaro, perdere tempo. Il pallone finisce nel bosco di fronte 3
volte, e il nostro portiere ci tiene a recuperarlo personalmente. Al
5° minuto il nostro anziano stopper finge un infarto e gli tocca
subire il bocca a bocca di una delle riserve della squadra del 118.
L'attacco epilettico dell'ala viene purtroppo ignorato dall'arbitro,
ma salva il portiere che chiama time out. Nonostante le proteste
avversarie circa l'inesistenza dei time out nel calcio. Termina zero a zero. Rimango in
panchina tutta la partita.
La seconda è contro l'Alta Velocità.
Operai minuti ma cattivi con un solo obiettivo, tirare sempre e
comunque, anche da lontano. La tattica purtroppo frutta. Raccolgono sei gol, i due incisivi di un nostro terzino e il polso distorto del
portiere, che termina qui il torneo. 'Mister, mi scaldo?', chiedo ad un
certo punto. 'No, che poi ti stanchi'.
Nella terza sfidiamo l'Ordine degli
Ingegneri. C'è un calo di motivazione. Il mediano inizia ad evocare
le tagliatelle che pare la moglie gli abbia preparato proprio questa
sera. Ma la maggioranza non vuol sentire ragioni e si continua. Gli
avversari, evidentemente scapoli, non si impietosiscono e ne fanno 3.
Io entro a due minuti dalla fine, il tempo di un malinteso su un
retropassaggio che si infila all'angolino alto.
In panchina si litiga. Siamo in dieci e si
gioca in cinque. 'Io ho già giocato diversi minuti, tocca a lui', è la
frase ricorrente. In due producono un certificato medico appena
redatto da quelli del 118 e conquistano la panchina. Per gli altri si
ricorre al sorteggio. Mi tocca entrare dal primo minuto.
Nell'ultima partita affrontiamo l'Unione
dei Comuni Valle di qualcosa. Sono brutti, vecchi e pelati come noi.
Tranne 3, imberbi e probabilmente minorenni. Assunti in deroga al
blocco delle assunzioni di tremontiana memoria. Il loro piano partita
è semplice, palla ai ragazzini e ci pensano loro. Il nostro è
essenziale, sopravvivere. Termina sorprendentemente solo 1 a 0 per
loro, con grossissima papera del nostro portiere di riserva, che però
da manuale, e per questo applaudito un po' da tutti, prima insulta lo
stopper e poi dà la colpa al sole. Io ad un certo punto sbaglio uno
stop, la palla carambola tra le gambe di uno dei ragazzini. Con un
po' di buona volontà sembra un tunnel volontario, esulto con la
maglia tirata sulla testa facendo il giro del campo.
Finalmente è finita, si contano i
sopravvissuti. Poteva andare peggio.
Dai, il mese prossimo lo rifacciamo. Ci
diciamo con convinzione. Si pensa, però, tutti alle tagliatelle.
giovedì 19 settembre 2013
Quando sarò vecchio voglio essere come lei
Eppure la vedo da lontano. Esce dal fruttivendolo. Gonna grigia lunga, maglioncino rosa di cotone spesso. Calze color carne e una graziella verde acido. 80 anni sicuri, va per i novanta. Con fare malfermo, sistema la busta con peperoni e zucchine all'estremità sinistra, la scarola è a destra. Con lentezza e fatica monta in bici.
Stira il bordo del maglioncino, si dà una sistemata al casco lucido ed elegante. Mica il primo prezzo Decathlon. E parte con decisione occupando la sede stradale. Con un gesto calma un furgone irrequieto alle sue spalle.
Per un po' pedaliamo affiancati. Io sulla ciclabile e lei a centro strada. Sguardo fiero e alto, che di tanto in tanto si abbassa a controllare le buste ciondolanti dal manubrio. Poi uno scatto sui pedali e mi lascia lì.
Col dorso della mani tiro via un po' di sudore e di stanchezza, la vedo allontanarsi.
Quando sarò vecchio, voglio dire più vecchio, voglio essere come lei.
Penso mentre svolta e la perdo per sempre.
Dovrò allenarmi parecchio, però.
venerdì 13 settembre 2013
Mani in alto e fuori il fascicolo
“Ma i nostri dirigenti sono tutti lì
per una riunione”
“Mi dispiace, i carabinieri sono già
partiti e stanno arrivando da voi.”
Nel lungo corridoio si fa il punto tra i presenti. Ci rassicuriamo a vicenda che ci daremo una mano per
gestire l'emergenza.
Più tardi, mentre sono al telefono, si
affaccia un collega e mi fa il segno delle manette.
Metto giù immediatamente. Sono in 3 e in borghese. Due sono più alti di me, pelati
e con un accenno di panza. Uno, il più giovane, è il poliziotto
buono e accenna un sorriso. L'altro è quello cattivo. Mi guarda
torvo, anche la panza incute timore. Il terzo è più basso, con dei
baffi da quadro dell'ottocento e i capelli lunghi. E' vestito in modo trasandato. E' uno di quelli abituati ad infliltrarsi, si capisce
subito.
“Posso esservi utile?”, dico.
Alle mie spalle sento il suono
impercettibile delle porte degli altri uffici che si chiudono.
Inizio a pensare di aver commesso un
errore.
“Non risponde, non risponde”, urla
dall'ufficio di fianco un mio collega.
“Dobbiamo acquisire documentazione sui finanziamenti alle imprese”. Ma
col tono di 'mani dietro la testa e in ginocchio'.
“Quale tipo di finanziamenti?”,
chiedo per capire a chi indirizzarli.
“Quelli alle imprese. E' questo
Sviluppo Economico?”, e per un attimo ho come l'impressione che
abbia fatto scattare il fucile a pompa.
“Non risponde, non risponde”, urla
dall'ufficio di fianco un mio collega.
“Sì, il Settore è questo. Ma qui ci
occupiamo di agricoltura. Nella sede centrale c'è invece chi si
occupa di attività produttive. Sono finanziamenti alle imprese
agricole?”, chiedo ancora. Ed è probabilmente una delle cose più
azzardate che io abbia mai fatto.
“Imprese e basta. Dov'è il capo?”.
Ed ho l'impressione che l'infiltrato si sia spostato alle mie spalle
pronto a colpirmi.
“Ci interessa il Progetto 307”,
dice quello buono con un sorriso. Mettendosi tra me e l'infiltrato.
“Non risponde, non risponde”, urla
dall'ufficio di fianco il mio collega.
“Prova a chiamare Michela - dico al
collega - mi sembra sia lei la responsabile del
progetto”. Le armi rientrano temporaneamente nella fondina.
Attimi di tensione. Il telefono squilla
a lungo. Finalmente qualcuno risponde. Il collega fa un cenno di
assenso.
“Abbiamo trovato chi ha i documenti –
dico al cattivo, pesando le parole – solo, mi dispiace, dovreste
tornare alla sede centrale. Il fascicolo è lì.”
“Ma noi cerchiamo Sviluppo Economico
– ringhia facendo un passo verso di me – è questo?”.
“Sì, il Settore è questo. Ma qui ci
occupiamo di agricoltura". Gli mostro la giugulare, per calmarlo.
"Nella sede centrale c'è chi si occupa di attività
produttive ed ha seguito questo progetto”, aggiunge il mio collega dall'ufficio di fianco. Ma basta uno sguardo al manganello perché riprenda a mormorare, sempre più fievolmente, "Non risponde, non risponde" guardando nel vuoto.
“Qui c'è o no documentazione relativa
al progetto?”. L'infiltrato scivola di nuovo dietro di me.
Sento il suo fiato.
Guardo il cattivo, poi guardo il buono.
Cerco un po' di coraggio.
“No.”, con un filo di voce.
“Siamo sicuri?” e sento la cipolla
cruda che l'infiltrato ha mangiato ieri, la sento dall'orecchio.
“Sì – sottolineo con
convinzione e cenni del capo - perché qui ci occupiamo solo di
aziende agricole. Non di questo progetto. Mentre in sede... vi faccio
vedere l'organigramma?”.
“Abbiamo capito”. Si guardano tra
di loro, io intanto mi metto a uovo per proteggermi. Il collega
trattiene il respiro mentre scivola sotto la scrivania.
Ad un cenno del cattivo vanno via, senza salutare e con
passi rumorosi lungo il corridoio buio.
Varcato l'ingresso le prime porte
iniziano ad aprirsi. Lame di luce riportano il giorno, nell'aria il
rosario di Radio Maria. Come sempre alle 11, la mia collega Tina ci tiene
tanto.
Ci abbracciamo tutti.
Arrivano i dirigenti.
martedì 10 settembre 2013
Le vite degli altri, una recensione
E' un film che parla di comunisti e
intercettazioni, ma non l'ha scritto Daniela Santanchè.
E' ambientato nella DDR e il
protagonista è uno della Stasi che lo mettono a seguire uno
scrittore di successo. Sto protagonista, HGW
XX/7, è uno bravo. Ha una
laurea e pure un master. Certe volte insegna all'università dei
servizi segreti. Se ti interroga lui, preghi la Madonna che finisca
presto. Ma, se preghi la Madonna, è pure peggio, perché i comunisti
della DDR le cose religiose non le sopportano tanto.
Ha solo un problema, il protagonista,
che la vita sua manca forse di un po' di brio. Nei feriali, o sta nascosto
nel sottotetto a sentire le cose che si dicono lo scrittore e gli
amici suoi intellettuali, o sta a rapporto dal capo suo: un biondino
col culo per faccia e lo spirito di patata. Una volta torna a casa un
po' prima, ringalluzzito dall'aver ascoltato lo scrittore che
amplessava, e si concede un po' d'amore pure lui. A pagamento, però,
con la signorina più brutta della DDR. Che lo lascia pure
insoddisfatto perché ' a bello, la prossima volta prenotavi per
un'ora'.
Lo scrittore, invece, è un figo. Ha
una bella casa, si vede con gli amici, fa le feste, va a teatro e si
accoppia con un'attrice. Che, nota a margine, s'accoppia
anche con chiunque altro possa giovarle alla carriera, ma ama
tantissimo lo scrittore. Tuttavia nel finale muore perché non
attraversa sulle strisce.
Solo una cosa sto scrittore non fa mai,
lavorare. Nei 7 anni che racconta il film lui scrive solo un articolo
e un libro. Senza che il tenore di vita ne risenta minimamente. Anzi,
alla fine va in giro in auto blu. Sarà ricco di famiglia.
Comunque, il protagonista tanto
s'appassiona alle cazzate degli intellettuali del bel mondo che, nell'ombra, pure li aiuta. Risolve una crisi coniugale allo scrittore
e ne copre l'ardito e audace gesto di scrivere un articolo sui
suicidi nella DDR. Che mò noi magari pensiamo che non è che ci
voglia tanto a scrivere un articolo così, tra l'altro facendolo
pubblicare anonimamente. E invece lo scrittore ci pensa e ci ripensa,
si consulta con gli amici intellettuali, per giorni e giorni. Tanto
non hanno niente da fare. E alla fine si decide.
La Stasi s'insospettisce e allora va a
casa sua per fargli un paio di domande. L'attrice che tanto lo ama
l'ha denunciato. Il protagonista, però, riesce a nascondere le prove
e a salvare lo scrittore , senza che questo manco se ne accorga. La Stasi
s'incazza e degrada il protagonista, che dall'università
passa a aprire le buste col vapore, e senza la malattia e le
ferie pagate.
Poi cade il muro. Lo scrittore, tra una
partita a golf e un bridge, scopre tutto nell'archivio della Stasi .
Scopre che il protagonista l'ha aiutato falsificando i rapporti.
Allora decide di cercarlo per ringraziarlo.
Gira e rigira lo trova, ora fa il postino. Di quelli
a piedi col trolley. Dice all'autista della Rolls 'fermati'. Ma poi
ci ripensa e tira dritto. Scrive un libro per raccontare sta storia.
E ci fa un sacco di soldi.
Il protagonista postino, un giorno,
vede il libro in libreria. Lo apre e legge la dedica in prima pagina: 'a HGW
XX/7, con gratudine'.
Allora compra il libro e poi una mazza
nodosa.
Attraversa tutta Berlina smadonnando e
santiando. La camera lo segue con una carrellata.
Smadonnando e santiando arriva sino a
casa dello scrittore.
Citofona e gli dice: 'Wendy, sono io”.
Poi sale e gli va a dire un paio di
cose.
mercoledì 4 settembre 2013
La cultura tira, più di un carro di buoi
La cultura tira, più di un carro di buoi.
L'animatrice sovrappeso mi guarda languida, con l'occhio spento dalla maria o dal poco sonno. Mi propone il tressette delle quattro o la corrida alle 9. 'No grazie, ho un impegno', le dico fingendo dispiacere e mi rituffo nella lettura della gazzetta.
Il pomeriggio è caldo, il sole picchia. Alla fine della spiaggia c'è una grotta, oggi aperta per le visite. Casco arancio e occhi azzurri che si muovono veloci. È la guida. 'Un biglietto', dico subito. Le mani sottili illustrano gli apogei primitivi e sistemano i biondi ciuffi ribelli dietro le orecchie. 'Era inizialmente un luogo di culto'. Annuisco con attenzione. Si sistema il foulard intorno al collo, lasciando scoperta la scollatura. 'Successivamente nella grotta furono costruite capanne, si vedono ancora i fori per fissare i pali'. Guardo i fori brevemente, il poco che basta per non far sembrare eccessivamente insistente lo sguardo che segue i motivi floreali del suo vestito. 'Abbiamo ritrovato molti utensili, questa è la riproduzione di un chopper'. E mi porge una pietra scheggiata. La soppeso, ne seguo l'orlo tagliente con la punta dell'indice. Gliela ripasso, le dita si sfiorano. 'Infine fu utilizzata come luogo di sepoltura, quelle sono le nicchie che contenevano i corpi'. Guardo le nicchie, proprio dietro le sue gambe snelle e abbronzate. 'La visita finisce qui. Per chi vuole c'è in vendita un opuscolo illustrato".
Ne prendo due copie.
L'animatrice sovrappeso mi guarda languida, con l'occhio spento dalla maria o dal poco sonno. Mi propone il gioco aperitivo. 'Non posso - le dico secco - sto leggendo una cosa importante'. E mi rituffo nelle illustrazioni dell'opuscolo.
La cultura tira, più di un carro di buoi.
L'animatrice sovrappeso mi guarda languida, con l'occhio spento dalla maria o dal poco sonno. Mi propone il tressette delle quattro o la corrida alle 9. 'No grazie, ho un impegno', le dico fingendo dispiacere e mi rituffo nella lettura della gazzetta.
Il pomeriggio è caldo, il sole picchia. Alla fine della spiaggia c'è una grotta, oggi aperta per le visite. Casco arancio e occhi azzurri che si muovono veloci. È la guida. 'Un biglietto', dico subito. Le mani sottili illustrano gli apogei primitivi e sistemano i biondi ciuffi ribelli dietro le orecchie. 'Era inizialmente un luogo di culto'. Annuisco con attenzione. Si sistema il foulard intorno al collo, lasciando scoperta la scollatura. 'Successivamente nella grotta furono costruite capanne, si vedono ancora i fori per fissare i pali'. Guardo i fori brevemente, il poco che basta per non far sembrare eccessivamente insistente lo sguardo che segue i motivi floreali del suo vestito. 'Abbiamo ritrovato molti utensili, questa è la riproduzione di un chopper'. E mi porge una pietra scheggiata. La soppeso, ne seguo l'orlo tagliente con la punta dell'indice. Gliela ripasso, le dita si sfiorano. 'Infine fu utilizzata come luogo di sepoltura, quelle sono le nicchie che contenevano i corpi'. Guardo le nicchie, proprio dietro le sue gambe snelle e abbronzate. 'La visita finisce qui. Per chi vuole c'è in vendita un opuscolo illustrato".
Ne prendo due copie.
L'animatrice sovrappeso mi guarda languida, con l'occhio spento dalla maria o dal poco sonno. Mi propone il gioco aperitivo. 'Non posso - le dico secco - sto leggendo una cosa importante'. E mi rituffo nelle illustrazioni dell'opuscolo.
La cultura tira, più di un carro di buoi.
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