Lo incontri al supermercato, nella
corsia dei detersivi. Al collo appesa una duenne affettuosa. Con la
destra, invece, tiene sotto controllo il grande, quattro anni in
cerca di autonomia. Porta avanti un carrello pieno a metà. L'occhio
è appannato, la mente altrove. Lei lo precede di un metro e con
rapidi e secchi gesti della destra ne guida i movimenti, mentre
attenta valuta lo scaffale degli ammorbidenti.
A casa con cura prepara la borsa. Prima
le ciabatte, poi il ricambio della biancheria, l'accappatoio.
“Ricordati il phon, ché altrimenti ti viene il mal di testa”.
Infine, il completino. Un bacio alla bimba, la borsa a tracolla,
nella destra l'indifferenziata.
Arriva al campo per tempo, quaranta minuti prima. Gli piace vestirsi da solo; nello
spogliatoio deserto sentire il rimbombo della borsa quando la lascia
cadere. Gli piace avviarsi al campo a passi lenti e misurati. Sentire
l'aria fredda nei polmoni. Iniziare il riscaldamento.
Metodico, fa sempre quattro giri di campo,
poi inizia i cambi di velocità, con tanti scatti brevi. Durante lo
stretching arrivano gli altri che subito, come bambini, si gettano
alla rincorsa del pallone.
Finalmente tutti si schierano. Uno
scambio di sguardi e la partita ha inizio. Gioca sulla fascia, in
quel corridoio nel quale a perdifiato diventi decisivo per la tua
squadra, con energici recuperi difensivi e intuizioni offensive che
ti fanno vedere spazi che gli altri non vedono.
Al primo scatto tenta uno stop a
seguire ma la palla, infida, sfugge via in fallo laterale. Tenta un
contrasto con l'avversario grosso, una gomitata involontaria lo
stordisce, allarga le gambe, la palla passa in mezzo. In un'azione
offensiva taglia alle spalle del difensore, il passaggio è col
contagiri, carica il destro e rilascia. Forse un rimbalzo irregolare,
o un'esitazione all'ultimo secondo. Manca la palla e nello slancio fa
un giro su se stesso, cade a pancia all'aria. Ha male, alcuni ridono,
i compagni di squadra si incazzano.
Si segnano gol da una parte e
dall'altra. Il ritmo dei respiri diventa sempre più serrato, in
bocca il sapore del sangue rappreso e la frustrazione delle
aspettative deluse. “Chi segna, vince”, decreta il capitano degli
altri. Tutti annuiscono, tirando il fiato. Dal fallo laterale la
palla finisce a metà strada tra due, nel conseguente contrasto si
impenna, uno della sua squadra salta e di testa la indirizza verso
l'attacco. Il pallone percorre una parabola arcuata e lenta e lui
è lì, a 4 metri dalla porta avversaria, la mano sul fianco a
stringere la milza che duole. Ha il tempo di alzare lo sguardo, fare
un passo avanti e, spalle alla porta, provare un calcio di destro torcendosi e sbilanciandosi all'indietro.
Nei suoi ricordi,nei racconti al bar, al lavoro, e dal panettiere il sabato mattina, sarà una
mezza rovesciata. La palla velocissima e potente si insacca non prima
di aver colpito la traversa ed avere danzato, carica di effetto, sulla
linea rimbalzando prima fuori e poi dentro. Il portiere inerme a
bocca aperta. Quello grosso con l'occhio appannato e
spento, i gomiti che arrancano nell'aria.
Corre sino alla propria porta. Li abbraccia e bacia uno per uno. Si toglie la maglia e la lancia in aria.
Tutti sorridono. Pure quello grosso gli stringe la mano. Ancora
sudato, nell'aria fredda della sera, chiama a casa. “Sì, torno
subito. Giusto, è il giorno dell'umido”.
Senza la doccia, con un piacere
interrotto a metà, mette in moto e si allontana.
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