Il sole caldo illumina una giornata di fine dicembre. Nel
cortile tra i palazzi zigzago per parcheggiare. Zigzago tra cani stesi al sole
a sonnecchiare. Qualcuno di loro alza appena lo sguardo, non certo Lulù che lì
al centro, ad occhi chiusi, sogna gli amici passati e quelli presenti.
La nobiltà non si sviluppa, ce l’hai dalla nascita. E così è
stato per Lulù, barboncino cresciuta in appartamento per essere bella. Con l'abitudine della passeggiata domenicale in piazza e la dieta controllata per rendere più
lucido il pelo.
Però un giorno divenne di troppo. O lei o il nuovo bimbo in
arrivo. Finì così in una masseria in campagna, tra polvere, auto e galline, a
dormire all’aria aperta. Quello coi capelli bianchi che l’aveva accompagnata le
aveva anche comprato una cuccia per non farle sentire freddo. Una casetta
gialla col tetto rosso, dentro una vecchia coperta di lana, davanti le ciotole
sempre piene. Lei l’aveva rifiutata. Dormiva davanti al portone o, quando
tirava il vento, riparandosi sotto il balcone del pianto rialzato. Si domina adattandosi ai cambiamenti, non aggrappandosi al
passato che non è più.
Presto aveva scoperto nuovi amici. Prima di tutto la vecchia
col bastone del piano terra, le univa il piacere di prendere il sole in cortile
nelle ore calde della giornata. Lei distesa mollemente sul cemento, l’altra
sprofondata nella sedia con le ruote. E poi questi donnoni possenti, che
parlavano strano, ma portavano sempre da mangiare e da bere, a lei e alla sua
amica. E quello con i capelli bianchi che lei accompagnava quando lavorava nell’orto di fronte, divertendosi
ad inseguire libellule vere e immaginarie. E i bambini che anche se crescevano
si moltiplicavano, alcuni avevano iniziato con la bicicletta con le rotelle,
avevano poi finito per guidare le macchine. Aveva inoltre scoperto di esser ghiotta di wurstel, che orgogliosa ostentava portandoli in giro come fossero un sigaro cubano.
Lulù aveva preso sul serio il nuovo mondo. Una sera tornando a
casa tardi mi era corsa incontro nel buio ringhiando minacciosamente per
difendere i suoi amici. Coi piedi puntati e i muscoli in tensione, occhi di
fuoco minacciosi di morte. Sino a quando il lampione, illuminandomi, le permise di riconoscermi. Neanche il tempo per l'eco del ringhio di perdersi nel vento che la ritrovai ai miei piedi, mi mostrava il collo avida di coccole.
E non era sufficiente una piccola carezza. Il rituale doveva
seguire un percorso preciso, dalla pancia al collo, sin dietro le orecchie, per
il tempo ritenuto da lei sufficiente, prima che potessi essere congedato. E
così era tutte le volte.
Da sacerdotessa aveva insegnato quel rituale e tanti altri a
tutti i cani che, fissi o di passaggio, erano finiti in quel cortile. E così
nelle giornate di sole capitava di zigzagare tra corpi lasciavi che facevano
l’amore con i raggi del sole. E di dover procedere attraverso una via crucis di
coccole e carezze per raggiungere il portone.
Nel tempo Lulù aveva perso vecchi amici e ne aveva trovati
di nuovi. Non c’era più la vecchia signora che amava il sole, di cui lei
onorava il ricordo stendendosi a sonnecchiare davanti alla porta serrata da
tempo. Non c’era più quello con i capelli bianchi che piantava le patate, e che
a lei sembrava di sentire quando correva tra i noccioli e le piante di pomodori.
Se ne erano aggiunti però altri. Tutti insieme, vecchi e nuovi, li ritrovava
nei sogni . Soprattutto quelli di metà pomeriggio, quando stesa al sole nel baricentro
del cortile, catalizzava ricordi e desideri di chi la circondava.
Con il passare degli anni, questi sogni erano diventati
sempre più lunghi e reali. Ancora la voglia di coccole era sufficiente a farla
rotolare avida a pancia all’aria, ma il desiderio di trascorrere tempo ad occhi
chiusi era cresciuto.
Una sera di aprile, è il giorno di Pasqua, un vento del nord
porta nuvole cariche di pioggia. In manovra
metto l’auto in garage, attento ai muri stretti e alle cianfrusaglie sparse. Lulù
sonnecchia, alza lo sguardo e fissando il fanale della retromarcia non si
sposta.
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