Sera di inverno. Esco dal lavoro.
L'aria fredda brucia.
Cappello di lana calcato sulla testa,
guanti, quadruplo strato sul petto – maglia-di-lana, camicia,
maglione e giubbotto da sci – pigiama sotto il jeans,
calzettoni di lana grossa.
Pedalo con fatica tra gli alberi poco
illuminati di via Barontini. Le auto parcheggiate restringono
la carreggiata, quelle frettolose mi sfiorano e sfanalano. Gli
occhiali si appannano per il sudore. Un'ombra lontana
attraversa via Paolo Fabbri. Un cancello automatico si chiude
rumorosamente.
Piego a destra e mi immetto sul
rettilineo di via Bentivogli. Largo, lungo e ben illuminato. Termina
con una leggera salita. Mi alzo sui pedali e supero le auto ferme al
semaforo. Al verde sento uno
scampanellio dietro di me, accelero infastidito e imbocco via
Albertoni.
In via Pizzardi inizia un dedalo di
stradine a pianta ortogonale, strette e alberate, malamente
illuminate dalle vetrine di negozi in chiusura. La ciclabile,
ricavata sul marciapiede, tira dritto sino a via Azzurra. Pedalo
arrossato per la fatica e per il freddo. Poco dopo il semaforo di via
Palagi, una folata di vento mi supera sfiorandomi, attraverso le
lenti appannate vedo il fanalino posteriore di una bici che
velocemente si rimpiccolisce. Un cane latra lontano.
All'incrocio con via Rocchi una bici da
corsa nera attraversa la strada. Lo spilungone che la monta si volta
per un attimo a guardarmi, vedo solo la luce intermittente
che ha sul caschetto. All'altezza della casa di riposo si sentono
voci dalle finestre del primo piano. Quando ci passo vicino, per una
attimo si zittiscono. Una portiera sbatte.
Nel parco dell'arcobaleno la ciclabile
diventa una tortuosa serpentina tra frasche buie che affronto a testa
bassa. All'ultima curva una bici contromano mi schiva all'ultimo e si
allontana. Sento nell'aria il profumo di rose e la mia inquietudine.
Un sospiro di sollievo in via Vetulonia. Il marciapiede è largo, ben illuminato e ci
sono nonni con la spesa che affrettano il passo verso casa. Manca
solo il parco di via Misa, un saliscendi stretto e frequentato solo
da cani che portano padroni a respirare prima di cena. Questa sera non c'è nessuno. Dall'appartamento del
terzo piano sento i titoli del tg3.
Subito dopo lo
strappetto in salita e poco prima della deviazione a destra, all'altezza del tiglio principale, vedo luci che velocemente si avvicinano. Una gialla, fissa, ed una rossa lampeggiante più in
alto. Nell'attimo in cui mi affianca sento uno scampanellio. Scompaiono alle mie spalle.
Accelero affannosamente, ormai manca
poco. Lungo viale Lenin sento odore di rose.
Imbocco l'ultima ciclabile, casa mia sullo sfondo.L'ultimo capofamiglia in
ritardo si infila in un portone. Casa mia è sullo sfondo. Evito una palla abbandonata e schivo il
tombino sopraelevato.
Mi rifugio ormai a corto di fiato sotto
il portico di casa mia, il deposito delle bici è ad un passo.
La porta è aperta; la luce, accesa.
Sudo. Le lenti appannate e inservibili. Lascio la bici ed entro a
piedi. Sul muro bianco si riflette a intermittenza un'ombra rossa,
nell'aria sento pipì di cane e profumo di rose. Si volta e mi mostra
i denti. 'Buonasera', mi dice. In una mano il mazzo di rose,
nell'altra il caschetto illuminante. Mi aggira e se ne va.
E' quello del secondo piano. Ha
parcheggiato nell'ultimo posto disponibile della rastrelliera. Anche
oggi mi tocca lasciare la bici attaccata al palo in strada. Me la
ruberanno.
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