Il raggio verde è anche quello della persona che hai accompagnato che un secondo prima di varcare la soglia, ormai oltre il punto di non ritorno, si volta per un attimo e ti sorride. Nel luccichio degli incisivi, che appena sporgono tra le labbra socchiuse, c'è quella luce fugace che speri di vedere sin dalla prima volta che le hai detto 'ciao'.
E allora capita che mi ritrovi all'aeroporto all'imbrunire. Il sole basso e lei, all'ultimo minuto possibile, mi saluta avviandosi elegante lungo la serpentina del controllo bagagli a mano. Un passo, due passi. Trattengo il fiato per la tensione e strizzo gli occhi, per non correre il rischio di doverlo fare dopo.
Intanto dalle vetrate alle mie spalle il sole proietta ombre sempre più lunghe, abbassandosi verso la pianura. Non dovrei farlo, è un rischio. Ma mi volto per un attimo. Si sa mai che becchi il momento giusto.
E lei continua ad avanzare, di svolta in svolta, verso il metal detector. Non si è ancora voltata. Non ce n'era motivo. La soglia è ancora troppo in là. Nell'aria la promessa che lo farà. Attendo.
Il sole si abbassa ancora. Così tanto che quasi la mia ombra la raggiunge mentre si allontana. E allora mi torco ancora, il tempo di un respiro, a scrutare l'orizzonte che mi acceca. Si sa mai.
E' già di fronte alla prima guardia che controlla il biglietto, ormai manca poco. Una goccia di sudore scende lungo la tempia. Con la coda dell'occhio mi sembra di vedere un riflesso verdastro nella luce che l'attraversa.
“Scusate, ma per l'aereo per Napoli dove dobbiamo andare?”, “Seguite quella donna”, “Quale?”, “Quella che sto fissando”.
Ma poi mi accorgo di due settantenni impacciati, pesanti bagagli in ogni mano. La moglie di uno dei due aspetta con timore qualche passo più in là. Hanno un po' d'affanno e le gocce di sudore sulle tempie sono molte più d'una.
“Dovete andare giù per le scale mobili, e poi a destra. Ma in fretta, perché stanno per chiudere l'imbarco”. Si avviano subito, correndo malfermi. Ma sbagliano strada.
Non ho il tempo di decidere. Mentre l'occhio di bue del sole morente la illumina maestosa ad un passo dalla soglia, i geni decidono per me.
Rivedo nei due vecchietti mio nonno. Un uomo di campagna d'altri tempi, che aveva fatto la guerra e la fame. Che prigioniero in Libia si era preso le zecche e scriveva bellissime lettere d'amore a mia nonna nell'italiano creativo dei poeti. Che con la sua terza elementare non aveva paura a prendere treni per attraversare l'Italia e andare a trovare il figlio. Spesso sbagliando a prenderli, a volte facendosi rubare i bagagli.
E prima ancora che mi renda conto di quello che mi sto perdendo, in volata li raggiungo, prendo i bagagli e urlo loro “Seguitemi, vi accompagno”.
Ce la fanno per un pelo.
Quando esco dall'aeroporto il sole è già tramontato.
Mi allontano nel silenzio dei miei pensieri.
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