venerdì 21 febbraio 2014

Pensavo fosse amore invece era un treno


Leggo. Gli occhi voraci seguono con fatica il segno, sfidati dai continui e irregolari salti. A volte, dopo qualche sobbalzo, aggettivi si trovano affiancati a sostantivi inaspettati. Mentre inseguo un “matronale” che si aggancia furtivo a “sguardo”, mi distoglie un profumo delicato e fresco, che sa di mare e sabbia.

Ancora l'occhio è perso tra i ricordi di estati passate e la fine del paragrafo, quando mi accorgo di lei. Lunghe mani sottili con molteplici anelli e smalto lucido. Filiforme, sbilenca, ma elegante. Si siede di fianco a me, anche se tutti gli altri posti nello scompartimento sono liberi. Forse è per via di qualche spiffero, penso, o per guardare il paesaggio che le viene incontro con l'avanzare del treno.

Mi rituffo alla ricerca della musica delle frasi calviniane, ma il sopracciglio ribelle, inarcandosi, trascina verso l'alto il mio sguardo. Abbastanza per sbirciala di sbieco sopra l'orlo del libro. Lisci capelli neri, tenuti a bada dagli occhiali da sole. La pelle bianca da ragazzina, i segni della stanchezza che le aggiungono qualche anno. Anche lei inizia a leggere.

Ad un tratto, in prossimità di uno scambio forse male allineato, il treno ha uno scatto. E' questione di un secondo e la mia gamba destra, prima parallela all'altra, si trova disordinatamente protesa verso il finestrino. Prossima alla sinistra di lei, che legge concentrata e compita. Un secondo rapido sobbalzo fa sì che i nostri malleoli per un attimo si sfiorino. Sto per scusarmi, ma aspetto il suo sguardo. Resta assorta e rapita da pagine che gira velocemente.

Rimando allora in posizione, piede destro allineato al suo sinistro.
Forse non se n'è accorta, o forse non le dispiace. Cercando una posizione più comoda sul rigido sedile dell'interregionale mi intraverso abbastanza da giustificare un contatto tra il polpaccio mio e suo. Un contatto leggero, sia chiaro, appena accennato. E' più uno spostare l'aria dal parte del mio jeans così che questa vada a strofinarsi contro le sue spesse calze nere. Non risponde. Né allontanandosi, per interrompere la goffa invasione, né per agevolare con sfrontatezza un maggiore ardore.

Aspetto, riprendendo la lettura, mantenendo ferma la condizione di primo contatto.
Leggo di un tal Tomagra, ma l'occhio ormai ribelle anticipa il rollio del treno per saltare verso di lei, immobile, che legge. Mi decido, irrigidisco il polpaccio come fosse un pugno e, assecondando il movimento della carrozza, busso al suo delicatamente. Per un attimo tutto è sospeso, anche il resto del treno si silenzia. Poi di botto lei tossisce. Mi alzo all'istante interrompendo il contatto e con un pretesto mi attardo a cercare qualcosa nel bagaglio. Sudo spaventato, ho esagerato. Come mi è venuto? mi chiedo. Ora si alza e se ne va, nella migliore delle ipotesi. Oppure inizia ad urlare.

Dopo aver aperto e chiuso il borsone tre volte, oso guardarla di nuovo. Riposa. Occhi chiusi, capo appoggiato allo schienale, di trequarti sul sedile, ancora più protesa verso di me. Dorme davvero?

Mi risiedo. Ormai spavaldo recupero velocemente la posizione perduta e avanzo, è rotula contro rotula. A metà della lunga galleria mi decido e ad occhi chiusi azzardo. La mia coscia si allinea alla sua e la sfiora. Sento sulla mia pelle la calda freschezza della sua.

Agitato. Cerco di tornare alla lettura. Il treno sta finendo la sua corsa, quasi tutti sono scesi. In quel momento riapre gli occhi, fissi verso la campagna che scorre. Si volta verso di me e mi guarda, le intense pupille bruciate dal sole che dentro vi sta. Sta per parlarmi, si protende verso di me.

All'improvviso tutto è buio. L'ultima lunga galleria, respiro cullato dal dondolio del treno.


Ormai in stazione uno scambio ferroviario mi fa riaprire gli occhi proprio prima della mia fermata. Sono solo. Rimetto in borsa “Gli amori difficili” di Calvino e con un sospiro scendo.

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