mercoledì 17 dicembre 2014

Il meraviglioso caffè di Natale



Pioviggina in un inaspettato pomeriggio di dicembre in centro.

Entro da Terzi, i bolognesi sanno di cosa parlo. Sono le cinque e mezza, poco prima della chiusura. Sull'ingresso c'è un cartello che pubblicizza 'il meraviglioso caffè di Natale'. Mi accomodo al banco, il locale è stranamente semivuoto. "Ecco il meraviglioso caffè di Natale", dice la barista servendo una coppia ad un tavolino nel privè. "Mmmm", commenta entusiasta la ragazza dopo il primo sorso. Di fronte a me, sull'ultima lavagnetta a sinistra, quella con il nome del caffè più pregiato, con grafia da bambino è scritto 'il meraviglioso caffè di Natale'.


'Va bene - dico alla barista - cedo al marketing: mi dia un meraviglioso caffè. Ma che sia davvero meraviglioso'.


Lo bevo a occhi chiusi. Anche se è cortissimo mi dura un'eternità. 


Quando torno nel mondo reale, lei è lì che mi guarda con un sorriso.
'Com'era?', mi chiede.
'Buonissimo', le rispondo mentendo.


Era infatti meraviglioso.

domenica 14 dicembre 2014

Dei piccoli piaceri della vita




Oggi era il giorno giusto per una piccola gioia della vita che da tempo avevo perduto: fare la spesa al sabato mattina così come ci si è svegliati.
Freddo, ma non troppo. Umido, ma non piovoso. Cinque minuti, tanto non mi vede nessuno. Ho pure cambiato supermercato per sicurezza, non volevo essere riconosciuto. E così mi sono sollevato dal divano, ho dato una carezza fugace al termosifone bollente e sono uscito in tuta da casa e maglione scolorito.
Scoordinati, ma questo è davvero irrilevante. I pantaloni fanno parte di un completino comprato al mercato alla fine del decennio scorso. Caldi, comodi, blu scuro con una striscia blu chiaro ai lati. La felpa, invece, è dei tempi del liceo. Grigio topo e aggressiva con le macchie, nel senso che nessuna le resiste. Per coerenza non ho fatto la barba, né, va da sé, mi sono pettinato.
Giaccone e via. Individuata la corsia giusta ho preso il pane e i biscotti e mi sono avviato alle casse. C'era gente. Ho tirato su il bavero, la giacca abbottonata sino al mento.
'Oh ciao', mi dice una. La mia vicina di casa. 'No, cazzo', penso. Arrossisco. Bofonchio qualcosa. Mi nascondo dietro il display delle caramelle.
Poi la guardo meglio. Pantalone mimetico militare e maglione arancione anni '80. Capelli arruffati e occhiaie. Giaccone blu con strisce grigie. Orgogliosa e sicura, lì dove io sono imbarazzato e in colpa.
Ho capito che lo stavo facendo male. Allora ho sbottonato la giacca e tirato fuori il petto. L'ho guardata di nuovo. Mi ha sorriso complice.

sabato 6 dicembre 2014

L'assistente del mago ovvero Magic in the moonlight


L'assistente del mago deve essere carina e magari un po' svestita, così da catturare l'attenzione e consentire che la magia avvenga. Se il mago nasconde un elefante tra 4 paratie, sai subito quello che succederà, la sua sparizione è dichiarata in anticipo. Tuttavia quando accade non riesci a non considerarla un sorprendente miracolo. In qualche modo, quindi, è l'assistente stessa la ragione dell'esistenza della magia.

Gli occhi di Sophie, la protagonista, ti rapiscono sin dalla prima scena in cui appare. Costantemente al centro dell'attenzione sono valorizzati dai capelli rosso fuoco, dai vestiti pastello, dai paesaggi del sud della Francia. Ad un certo punto arrivi a credere che la Francia stessa sia stata creata perché quegli occhi potessero risplendere ancora di più.


Non puoi che perderti nel loro riflesso tremando ad ogni battito di ciglia. E intanto però non ti accorgi. Non ti accorgi di personaggi inconsistenti e troppo facilmente incoerenti. Non ti accorgi della trama leggera e di battute non sempre irresistibili. Non ti accorgi che sin dal primo momento sai che i due protagonisti si innamoreranno e che accompagnerai il loro bacio con un sorriso liberatorio.


E così quando alla fine l'elefante scompare, vale a dire quando il brusco razionalista si abbandona all'irrazionalità dell'amore, a causa di quelli occhi, o forse proprio grazie a loro, sei contento. A differenza di quanto razionalmente dovresti concludere, non rimpiangi più di tanto l'aver comprato il biglietto del cinema.


Ecco, quest'ultima è probabilmente la vera magia del film.

E tutto grazie agli occhi di Sophie.

sabato 29 novembre 2014

'A Juventus


Avellino-Juventus, 31 ottobre 1982, ottava giornata del girone d'andata.
Una delle prime partite allo stadio che ricordi.

Già arrivarci da Montoro è un'avventura. Pranziamo presto perché inizia alle 2 e mezza. In auto, una Simca 1100 beige, con stuccature artigianali antiruggine sulle fiancate, siamo io e mio padre.

Parcheggiamo lontano dallo stadio per 'evitare il traffico all'uscita' e non pagare i parcheggiatori abusivi. Molto lontano, ad essere precisi. Sotto i cappuccini. Per i pochi che non sono mai stati ad Avellino vuol dire ai piedi del colle sul quale si trova il Partenio. 

Iniziamo la scalata e non siamo i soli, a quei tempi spesso c'era il pienone. Con la Juve, poi, era inevitabile. Quando scolliniamo, parecchi minuti minuti dopo, ci infiliamo nella fila di bancarelle che costeggia lo stadio, riesco a guadagnarmi una bandiera. Di fianco l'alto muro lungo il quale i senza biglietto tentano la scalata. 'Scinni (scendi)', urla il carabiniere in basso. 'Manco pa' capa' (non ci penso proprio), rispondono i più educati. È una pantomima che si ripete decine di volte. 'Ue', Ciro', urla uno di quelli che ce l'ha fatta, a cavalcioni in cima. 'Cia', Pashca'', gli risponde mio padre. Noi però il biglietto lo compriamo, tribuna Terminio verso la Curva Nord. Sarà una scelta fortunata.
La Juve si schiera con Zoff, Gentile, Cabrini, Bonini, Brio, Scirea, Tardelli, Paolo Rossi, Platini, Boniek. Noi gli rispondiamo con Tacconi in porta, Favero e capitan Di Somma in difesa, a centrocampo Barbadillo e Tagliaferri, in attaco Limido e Vignola. Più venticinquemila sugli spalti.

Che poi quasi tutti, a quei tempi, si tifava per la Juve. 
Quel giorno, però, il patto tacito era chiaro, c'era solo l'Avellino.

Non ricordo tanto della partita, travolto dall'esperienza di spalti urlanti, bandiere sventolanti - compresa la mia, e quel vento gelido che per la prima volta potevo far finta di non sentire, perché non c'era nessuno a ricordarmi 'copriti che poi ti ammali'.

Ad un certo punto la Juve segna, un gol fortunoso di Scirea su una respinta del portiere. Siamo già nel secondo tempo, la tensione nello stadio sale. Neanche in quarto d'ora dopo c'è un calcio d'angolo per l'Avellino. Proprio sotto lo spicchio nel quale siamo seduti. Si capisce immediatamente che è un'occasione unica e non ce ne saranno altre. Tutta la squadra sale nell'area avversaria, compresa la difesa, compreso capitan Di Somma. Un libero d'altri tempi, disordinatamente pelato, spigoloso e cattivo. Di quelli che avrebbe trattato allo stesso modo Platini e un attaccante di terza categoria. Di quelli che Pasquale Bruno avrebbe abbassato lo sguardo.

La palla spiove in aria, poi non ricordo bene, ma è proprio capitan Di Somma a colpirla, di testa o di spalla, o forse era il petto oppure il braccio. Zoff reagisce in ritardo e può solo raccogliere il pallone in fondo alla rete, mentre tutti fanno festa.  Di fatto la partita finisce in quel momento. Il resto è solo melina in campo e paura sugli spalti.

Andiamo via a cinque minuti dalla fine, 'per evitare il traffico'. Perdersi gli ultimi minuti delle partite negli anni diventerà una tradizione che sarò in grado di rovesciare solo dopo aver preso la patente, impossessandomi delle chiavi della macchina.

Siamo già verso la discesa all'auto quando sento lo stadio esplodere di gioia.
'Lupi, lupi, lupi', gridano. Un urlo così forte e profondo che non potrò mai dimenticare.

Con un brivido e un sorriso, ci stringiamo e allunghiamo il passo.

venerdì 28 novembre 2014

Quando eravamo ciclisti


Un'estate di molti anni fa, il '92 forse.
Ci convinciamo d'essere ciclisti.

Con un amico esco in bici tutti i giorni. Ci arrampichiamo sulle colline che circondano Montoro, su per i boschi. Se un giorno uno non può, l'altro ne approfitta per un allenamento supplementare. Perché poi il gioco è staccarsi in salita e attendere allo scollinamento. 'Aspetti da tanto?'. 'Ma, no, figurati. Solo 2 minuti e 27 secondi'.

Due le tecniche che vanno per la maggiore. La prima, classica, consiste nel cercare un tornante ripido, scattare sui pedali e resistere ai muscoli in fiamme sino a quando l'altro non è più in vista. E' importante la frequenza, altissima, e il rollio. La bici diventa un attrezzo ginnico, un cavallo con maniglie, sul quale volteggiare ed esprimere così la potenza che costringe il rivale alla resa.

La seconda tecnica, più rischiosa ma cattiva, finalizzata ad infliggere un'umiliazione definitiva, è l'allungo progressivo. Si aspetta un rettilineo per passare ad un rapporto più duro. Con perfetto bilanciamento, senza variare il ritmo della pedalata, si aumenta progressivamente la velocità. E' importante non voltarsi mai e conservare sulla faccia un sorriso da nuoto sincronizzato che dissimuli la fatica.

Oggi ritrovo le sensazioni di quell'estate.
E' sera, manca poco all'ora di cena. Torno da lavoro, un'altra bici mi precede di qualche metro. Nel parco, dove la ciclabile con una leggera piega a destra copre un dislivello di quasi un metro, aspetto che esausta cali il ritmo e di potenza la supero inesorabilmente. Scampanello, perché noti la progressione. Nulla può, ingobbita sulla graziella anni '70, due borse della spesa attaccate al manubrio, i capelli grigi bagnati dalla foschia e dallo sforzo.

L'aspetto al semaforo sul viale. 'Posso aiutarla, signora?”. “No”, mi risponde fiera e sprezzante.

Riparto. Nel '92 mi piaceva di più.

venerdì 17 ottobre 2014

Al venerdì piadina


Il rituale della piadina al venerdì prevede la doppietta.

Inizia con la prima leggera e classica. Sottile, tipo Riccione. Crudo e rucola, ma 'lo squacquerone no, perché mi appesantisce e poi chi ce la fa a lavorare'. Chi ordina per ultimo sa che distrattamente, a bassa voce, così che nessuno possa davvero opporsi, dovrà far cadere un 'birretta?'.

Che poi invece è da 66, ma Peroni, così è un po' meno grave. Praticamente finisce nell'attesa delle piadine. Per cui al primo morso, quando il bolo sembra proprio non andare giù, la seconda birra è percepita come un ausilio medico. Chi va a prenderla è accompagnato dall'approvazione di tutti.

I primi bocconi, dettati dalla fame, sono frequenti e profondi. Perdono velocemente intensità per prolungare il piacere. Si arriva al punto di raccogliere le briciole nella carta oleata che conteneva le piadine. A quel punto, con le dite ancora unte, ci si scambia uno sguardo d'intesa. Gli argini sono ormai rotti. Le inibizioni superate. La digestione lenta è solo un rischio remoto.

Per tradizione mi alzo io, sono lo specialista. Non c'è bisogno di concordare perché il mandato è inequivocabile: nessun limite. Oggi è stata la volta di una Bertinoro, spessa e sostanziosa, con ventricina piccante e scamorza affumicata. Le birre sono sempre almeno due, e 'se non ce la fai a portarle, ti aiuto io'. Un giorno, lo so, avremo il coraggio di pareggiare la doppietta classica del mare, quella che finisce con salsiccia, peperoni e cipolla. E pennica in spiaggia.

Torniamo al lavoro in silenzio, con l'occhio lucido. 

Controllo, non ci sono riunioni.

Burp.


venerdì 10 ottobre 2014

I nonni ovvero il tradimento del narratore


Questo post non c'entra niente con le storieadunpassodallesserevere. E' iniziato tutto scoprendo una ricorrenza. Un secondo prima neanche sospettavo esistesse e l'attimo dopo avevo già scritto quello che segue.


"Dunque, oggi dovrebbe essere la festa dei nonni. Allora colgo l'occasione per ricordarmeli.
Andando in ordine, prima i maschi.

Aniello, bello come un attore del cinema americano anni '50 e imprenditore, curioso e lungimirante. Il dopoguerra e la povertà gli avevano fatto nascere la passione per la bicicletta. Di quelle da uomo, di un tempo, con la canna resistente per il passeggero, mia nonna, che portava ovunque, colline comprese. Verso la fine non riconosceva più nessuno, tranne Rosa, una duenne, la più piccolina della famiglia. È stato l'ultimo dei tanti insegnamenti, la mia eredità: le poche risorse che si hanno vanno investite sui giovani.


Rocco, il ribelle, terminò gli studi in seconda elementare per un diverbio con la maestra. Poco dopo scappò di casa per andare a lavorare nei campi. La storia del suo primo giorno di lavoro me l'ha raccontata centinaia di volte, anche l'ultima che ci siamo visti. Dentro c'erano l'epica del viaggio stipato in un carretto, l'avventura delle notti passate in un granaio, la delusione della paga rubata dal caporale e il riscatto della giustizia che infine trionfa. Questa storia, ad ogni racconto, era sempre più bella, con un'attenzione ai dettagli e una maestria negli esporli che ho cercato di rubargli. È stata la mia eredità.


Elisa, detta Lisetta, un archivio vivente. Ricordava ogni singola persona avesse mai incontrato e di ciascuna conosceva relazioni parentali, domicilio ed episodi salienti della vita. Le piaceva raccontare storie. Erano sempre diverse, spesso partivano dalla quotidianità, ma tutte ad un certo punto finivano tra le due guerre quando lei era giovane e spensierata. Raccontava per ricordarsi i momenti felici e per condividere la gioia che emanavano. I racconti sembravano veri, ma non potevi mai dire sino a che punto lo fossero. Queste storie ad un passo dall'essere vere sono state la mia eredità.


Maria, l'ultima a farsi portare via. Rigida e generosa, capace di bassi a cui potevano seguire alti importanti. Per amore, da cittadina figlia di un capostazione si era fatta contadina in un paesino 
di campagna. Negli ultimi anni, mi sono reso conto, abbiamo iniziato ad avere in comune più di quanto avessi mai pensato. Le piaceva mangiare quanto a me cucinare. Una volta, era già a letto immobilizzata, le chiesi 'a no', quanta cioccolata ti porto?', mi rispose 'quanta ce ne sta'. Questo atteggiamento verso la vita è stata la mia eredità e da allora ho cercato di farlo mio."


Questo post non c'entra niente con le storieadunpassodallesserevere. E' solo un espediente che uso perché da qualche parte devo conservare i miei ricordi. Li scrivo per la paura che si perdano e scrivendoli mi perdo nel piacere della narrazione. Finisce così che i ricordi facendosi racconti diventino altro, conservando intatta, però, l'emozione.

Questo post non c'entra niente con le storieadunpassodallesserevere. Forse.

venerdì 15 agosto 2014

3 ore


'Ma come sei vestito?'
'Certo in questa casa è sempre tutto uguale. Non hai cambiato un mobile, un quadro.'
'Scrivi male. Tutti questi punti negli sms, dovresti usare più segni di interpunzione.'
'Che fame! No, quegli antipasti non mi piacciono. Per fortuna che ho portato le patatine!'
'Comunque qui hai bisogno che ti aiuti. Prima di tutto bisogna cambiare il tessuto del divano perché è orrendo.'
'Che sete! Apri una birra? Ah, hai solo un Greco di Tufo?'
'Non è un problema di misurazione della performance, tanto voi dipendenti pubblici vi limate le unghie a lavoro.'
'Ah, hai deciso di riprendere a studiare? Vabbe', ma poi a che ti serve?'
'Questo vino mi ha già dato alla testa, più di mezzo bicchiere non ne bevo.'
'E perché usi una grattugia come soprammobile?'
'Vorresti trarre un libro dai raccontini? Ma ne scriverai altri, giusto? Perché quelli già sul sito, insomma...'
'No, guarda, anche se hai già preparato tutto io più di un piatto di pasta non prendo.'
'Mi fai vedere le foto? Ma c'hai sempre lo stesso vestito ai matrimoni?'
'Devo andare. Ci rivediamo presto!'

'Contaci. Ti chiamo io.'

martedì 12 agosto 2014

Il viale e la cava ovvero "L'attimo fuggente"


Nell'89 avevo 14 anni. La prima volta che andavo al cinema da solo, senza i miei genitori. L'appuntamento con gli amici era al Cinema San Michele in centro, spettacolo delle 18.

Io abitavo in periferia, nel quartiere detto Far West, e la nomea non era dovuta alle balle di fieno rotolanti nel deserto, quanto piuttosto ad una primitiva gestione del diritto di proprietà e della giustizia.

Avevo due strade davanti. Quella breve attraverso la vecchia cava abbandonata, una lenta discesa tra massi, polvere e rovi che dalla zona leggermente sopraelevata mi avrebbe portato direttamente al lungomare. E quella lunga che seguiva il viale alberato, passava davanti alla scuola elementare e dopo una sfilza di negozi confluiva nel lungomare. Scelsi la lunga.

Nel buio della sala iniziammo a rumoreggiare. Si esibì il mio amico Gozzilla, detto così per i rutti poderosi, e qualcun altro raccontò quella divertentissima barzelletta di Pierino e non so chi. Volarono anche schiaffi da parte di qualche adulto spazientito, lo immaginai dalla chiara successione di schiocchi. Ma fu solo per pochi minuti. Fummo subito ridotti al silenzio, le pagine del libro strappate conquistarono la nostra incondizionata attenzione e quando salì in piedi sui banchi ad accompagnarlo c'era un coro di bocche spalancate di stupore e ammirazione, nello schermo e nella sala.

Non sono sicuro di aver capito il film e il messaggio che portava, però ricordo bene l'euforia successiva. Senza neanche salutare mi avviai deciso verso casa. Giunto al bivio neanche decisi perché la scelta non si poneva. Abbandonai la strada illuminata per arrampicarmi lungo il sentiero buio e polveroso.

Scivolai diverse volte accompagnato da ululati di coyote, rovi desiderosi di avvolgersi alle mie gambe e da leggende metropolitane che si susseguivano nei miei pensieri. In cima, alla luce dei cancelli dei primi palazzi del mio quartiere, sporco, sudato e graffiato, risi a pieni polmoni dei rimproveri che avrei ricevuto tornato a casa.

Mi voltai per un attimo, di sfuggita e per l'ultimo volta.
Proseguii diritto.


domenica 10 agosto 2014

Era lunga


In un campo di calcetto a metà degli anni '90 il mediano intercetta un passaggio orizzontale troppo molle. Alza la testa e lancia sulla fascia sinistra l'ala che prima ancora che la palla parta già s'invola. Impatta la traettoria sulla tre quarti e calcia di prima, di interno sinistro, leggermente a giro. Il pallone corre veloce verso il centro dell'aria di rigore. La squadra avversaria presa in contro tempo fatica ad organizzare la difesa. Nello smarrimento generale fulmineo si inserisce l'attaccante, prende un passo allo stopper e sul dischetto si coordina per il tiro.

La palla ruota su se stessa sfiorando il campo in gomma. Come una rasoiata taglia il semicerchio dell'area di rigore e la difesa. Taglia anche riflessioni e desideri dell'attaccante, dell'ala e del mediano che nell'attimo di attesa prima del fatale impatto hanno il tempo di pensare.

Il mediano pensa al torneo universitario iniziato per scherzo perché in palio c'è un viaggio in Croazia. Pensa al testo di filosofia ermeneutica di cui capisce poco, su cui ha passato l'inverno chiuso in casa. Pensa a quello che l'ha bocciato, consigliandogli, alla sua età, di cercarsi un lavoro. Pensa al fatto che in quel momento, all'ultima partita, sono in testa al girone. Pensa alle croate.

L'ala pensa al paesino del sud dal quale è arrivato l'ottobre prima. Pensa alla nebbia che non aveva mai visto, ai mesi passati a mangiare pasta col tonno in scatola e ai chilometri in bicicletta per andare a lezione. Pensa agli amici di giù che non vede da troppo. Pensa che basta un pareggio e si finisce primi. Pensa alle croate.

L'attaccante pensa al 30 preso la settimana prima in Diritto privato, lo stronzo neanche gli ha dato la lode. Pensa al Giangi e al Pigi da chiamare per organizzare il weekend ad Amsterdam. Pensa ai gol fatti e alla classifica cannonieri affissa in bacheca all'università in cui primeggia. Pensa alla biondina conosciuta la sera prima al Porto di Mare.

La palla rimbalza sul campo e veloce schizza verso l'attaccante. Lo stopper da dietro tenta con goffa scoordinazione un recupero impossibile. Il portiere, consapevole del peggio, si piega sulle ginocchia per rendere con un atletico tuffo almeno onorevole la disfatta.

L'attaccante decide di calciare di destro. Con maestria rallenta, si appoggia all'esausto difensore per sfruttarlo come appoggio per il successivo slancio. Fa leva sul potente polpaccio sinistro, scolpito dallo sforzo, e lancia la zampata.

La palla dopo il rimbalzo, spinta dalla forza di gravità e dal destino, cade verso l'interno destro proteso dell'attaccante. Una spizzata potente che precisa andrà ad insaccarsi nell'angolo alto alla sinistra del portiere, pensano il mediano, l'ala e l'attaccante.

La palla colpisce il piattone e si indirizza decisa. Il portiere, spiazzato, si tuffa, ma dal lato sbagliato. La palla gira su se stessa, acquista velocità, punta verso l'alto.

Gira un po' troppo, si impenna eccessivamente, veloce e potente s'infrange sul muro dietro la porta, due metri sopra la traversa.

L'attaccante impiega un secondo prima di voltarsi e iniziare la leggera corsa verso il centrocampo. Incrocia con lo sguardo il mediano e l'ala, silenti e abbattuti.

“Era lunga”, dice seccamente. Una goccia di sudore gli scende lungo la tempia.

mercoledì 6 agosto 2014

Il giubbotto con la pelliccia


Lo incontro la prima volta in una fredda sera di febbraio di molti anni fa. Cerco un coinquilino per dividere l'appartamento e si presenta lui. Pingue, camicia a fiori aperta sino al quarto bottone e capello lungo non curato.  Neanche si toglie il giubettino con pelo nei risvolti che dopo una breve occhiata all'appartamento, due camere più cucina e bagno microscopico, deciso mi dice:
“A posto. Da lunedì mi trasferisco.”
“Starei ancora vedendo persone, ti faccio sapere”.
“Arrivo nel tardo pomeriggio”. E arriva davvero.

Sornione trascorre quasi tutto il tempo in casa, tra insaccati piccanti e studio del diritto. Generoso non esita a condividere tutto ciò che ha. Dalla salsiccia, tagliata a pezzettoni grossi, alle nozioni giurisprudenziali che ti investono senza possibilità di salvezza. Questo fare affabulatorio funziona in particolare con le ragazze, stordite dal capocollo e dalle fattispecie non resistono al suo fascino.

Sex machine, si inizia a chiamarlo. Per scherzo, per invidia, per ammirazione.

Le affollate feste che nel minuscolo appartamento prendono corpo sono il suo preferito territorio di caccia. Perenne bicchiere di vino in mano, rigorosamente aglianico, vola di fiore in fiore.

Sino ad una sua festa di compleanno, alcuni anni dopo. 'Viene una che ho conosciuto al lavoro', dice. Stavolta non vale, pensiamo, vuole vincere facile. Si chiacchiera, si beve, ad una certa ora si finisce in locale a ballare. 

'Oh, ho visto Sex con una dietro un cespuglio - dice un amico trafelato – si tenevano per mano'. 
In quel preciso istante tutto si sospende, anche il deejay ferma la musica e le luci si accendono. 
'Come per mano? La palpava con l'altra però? Limonavano?'. 
'No, per mano e basta, seduti su una panchina'.

Si iscrive in palestra poco dopo, perde peso, si taglia i capelli. “Grigliata al parco con gli amici?”, “No, ho un impegno pregresso e contestualmente sto seguendo un regime alimentare meno calorico”. “Ordiniamo un rosso di giù, quelli tipo petrolio?”, “No, guarda preferisco orientarmi per un rosè frizzante e fresco”. Indossa spesso capi firmati, sul lavoro è sempre in completo impeccabile. Il giubbotto con la pelliccia inizia ad ammuffire nell'armadio.

Un giorno accade l'irreparabile. Consulto tra amici e gli proponiamo una gita al mare in riviera, di quelle che chi guida, estratto a sorte, è l'unico che ricorda. “Mi dispiace, non posso – risponde  – proprio domenica a Forlì c'è una mostra di piante grasse imperdibile”. Silenzio.

'Per un po' mi trasferisco da lei - mi dice qualche mese dopo – per ragioni fiscali mi conviene spostare il domicilio'. Porta via tutto, i completi, i testi di diritto e il geranio. Dimentica a casa il giubbottino, quello con la pelliccia.

“Di chi è questo giubbotto?”, mi chiede il nuovo coinquilino.
“E' di Sex”
“Chi è Sex?”
“Sex è morto, bello, sex è morto”.


sabato 2 agosto 2014

2 agosto


Sono arrivato tardi, lo ammetto. In realtà neanche ci stavo andando.
Poi però, mentre in bici ero in via Marconi, sarà stata la forza di gravità, il ricordo di altre volte in cui ho fatto parte del servizio d'ordine, le parole dell'anno scorso della Boldrini che ancora mi commuovono, all'improvviso mi sono trovato lì. 
All'angolo con il viale, tra vigili rossi in viso con i gonfaloni sottobraccio, una signora trolley-munita  parlava al cellulare: 'e che ne so? me pare che c'è sta na manifestazione contro il fascismo'. 
In piazza invece trovo un amico con l'occhio lucido che lavora, gratis, di sabato mattina per raccontare questo momento.
Perché raccontando si ricorda e finchè si ricorda loro non vinceranno.


domenica 13 luglio 2014

Quando Matteo perse la barba


Racconto la breve storia del giovane Matteo e di come perse la barba per amore.

Inizia in una piccola stanza, in un vecchio palazzo in centro, con il rumore degli autobus in sottofondo. Lo vedo per la prima volta durante una lezione di inglese tra un what's-your-name e un where-are-you-from. Presto concordiamo che il vino in osteria è meglio delle lezioni e nasce un'amicizia.


In seguito lo incontro all'Archiginnasio, tra lo studio matto e disperato e le pubbliche relazioni, soprattutto con le signorine. Ci sono le feste in via dell'Unione, dagli inizi indimenticabili e i finali offuscati dall'alcol. E poi l'inverno canadese e i resoconti dei convegni in giro per l'Europa. A seguire, purtroppo, anche il grande freddo di perdite importanti.


Qualche anno dopo, mentre organizzo una festa, mi dice: posso portare una persona? Nella confusione, presi dai rossi e dalle patatine, non ci accorgiamo che Matteo non ha occhi che per lei. Seduta, timida, con le mani sulle ginocchia; mentre lui, chino, all'orecchio le sussurra:


Viviamo, Francesca, ed amiamo,
i brontolii dei vecchi troppo seri
valutiamoli tutti un soldo!
Dammi mille baci, poi cento,
mille altri, e ancora cento,
Quando ne avremo migliaia,
li mescoleremo perché nessun malvagio
possa invidiarli, sapendo esserci tanti baci.


In un'affollata terrazza di un moderno palazzo in periferia, tra i grilli che cantano al vento, accade la svolta. Matteo e Francesca si guardano da vicino, trattengono il respiro e tutto il mondo con loro, in quell'istante ci appare evidente il comune destino di baci infiniti. 

Questa è la storia di come Matteo perse la barba, per baciare meglio. 



Nota dell'autore: 

Il racconto mi è stato commissionato da un caro amico perché lo leggessi al suo matrimonio. E' diventato una storiaadunpassodallesserevera nel momento in cui, nonostante abbia provato di tutto, non sono riuscito a convincerlo a tagliarsi la barba per la cerimonia. Auguri Francesca e Matteo, e tanti baci!


mercoledì 2 luglio 2014

Viaggiare, elenco non esaustivo dei momenti di piacere

  • compri i biglietti con la Ryanair sotto il tuo prezzo limite,
  • ti procuri la Lonely Planet e la integri con maniacali ricerche su internet,
  • trovi da dormire a pochissimo prezzo, possibilmente gratis,
  • una volta in loco spendi quello che hai risparmiato mangiandoti qualsiasi cosa con la scusa che è tipica,
  • impari le linee della metropolitana locale e te ne bulli con chi è con te, 
  • ogni volta che le auto si fermano per farti attraversare imprechi contro l'Italia dove questo non succede mai,
  • al ritorno riesci a portare il bagaglio a bordo così guadagni quei 5 minuti per tornare a casa e postare le foto su facebook prima degli altri,
  • provi a cucinare la cosa che ti è piaciuta di più e, tutto sommato, anche se non ci somiglia, è buona lo stesso.

martedì 1 luglio 2014

Synecdoche, New York o un rosso di troppo


Come un rosso di quelli buoni.

Già nel naso ti esplodono i sapori, alcuni li riconosci sulla punta della lingua, altri si perdono nel palato.

C'è un che di Inception, un Truman Show al contrario, a tratti sembra I 7 Piani di Buzzati. E molto altro che so di non sapere.

Solo che è come una damigiana di rosso, che bevi a grandi sorsate e presto ti dà alla testa confondendoti. Ad un tratto il tempo si intreccia, i luoghi si fondono e gli altri li vedi doppi.

Finisce che ti ritrovi col mal di testa. Come certi rossi che sembrano buoni ma forse non lo sono così tanto.



giovedì 26 giugno 2014

Due cuori e una corsia


Arriviamo insieme nel parcheggio sotterraneo. Lei trova posto nell'area B, di fronte alle scale mobili. Io appena più in là, oltre la Panda blu di un'anziana signora.

Ne seguo il profumo lungo il corridoio delle verdure. E' più forte dei meloni maturi, della menta, dei pomodori di stagione. Zigzago tra i carrelli e ci incontriamo alla bilancia. 'Prego, prima lei'. 'Grazie', mi sorride. Ci precede però una signora sulla settantina, dal passo malfermo e dallo scatto feroce.

Mi raggiunge più tardi al banco frigo. Mi accorgo di lei dalla sua mano sottile che quasi mi sfiora per raggiungere uno yoghurt cremoso alla frutta. Mi volto, si volta. 'Scusi, mi prende il latte fresco lì in alto?', mi distrae improvvisa una voce. Il tempo di voltarmi e l'attimo è passato.

Ci incrociamo, affianchiamo, intrecciamo di continuo. Di corsia in corsia. La pasta è quella di Gragnano per entrambi. Ci piace la cioccolata fondente extra. Abbiamo in programma una grigliata: spiedini e pancetta per me, salsiccia e puntine per lei. I carrelli sono muti testimoni di una crescente affinità.

Alla scelta dei vini mi conquista definitivamente. La vedo di fronte ai rossi mentre ripone sicura un Taurasi del 2008. Vorrei quasi abbracciarla. Ci separa però un carrello abbandonato. Quando viene spostato dall'attempata proprietaria affezionata al Tavernello, lei è già in fila alla cassa.

Ci rivediamo infine al parcheggio sotterraneo. Di sfuggita le lancio uno sguardo che pronta mi restituisce rilanciando con un sorriso. Mentre carica la spesa nel bagagliaio una delle buste si rompe. Come in un sogno lascio cadere la mia spesa e mi lancio verso di lei. A metà del volo mi risveglia un colpo di clacson e lo stridìo di una frenata. La Panda blu completa la retromarcia e riparte sgommando. Una mano ossuta mi invita ad andare altrove.

Lei è ancora lì, alle prese con la busta rotta. L'aiuta con straordinaria cordialità uno dei buttafuori del supermercato, divisa blu con bicipiti a vista e petto depilato d'ordinanza. L'aiuta per un tempo indefinito, riponendo i prodotti caduti uno ad uno.

Impietrito assisto sino all'invito ad andare altrove che il buttafuori, di nascosto da lei, mi rivolge con un gesto secco. Ripulito il jeans dallo yoghurt che la Panda fatale ha proiettato tutto intorno metto in moto e vado via.

domenica 22 giugno 2014

La prima maledetta


Da ragazzini si giocava in spiaggia tutti i giorni, da fine giugno a inizio settembre. Tra l'ultima fila degli ombrelloni e le cabine in muratura. Partite anche 11 contro 11, rigorosamente da mezzogiorno in poi. Si smetteva solo quando evidenti ragioni mediche, o mamme urlanti dall'ombrellone, fissavano il risultato finale. 

A volte la sabbia scottava così tanto, il sole picchiava così forte, che l'unica cosa da fare era scavare una buca nella sabbia e rimanere lì impietriti sperando che il pallone andasse da un'altra parte. 


Si giocava col SuperSantos, ne erano necessari almeno un paio a partita perché il primo si perdeva sempre nella pineta al di là della rete. Qualche volta, quando buttava male e i tiri sbilenchi avevano il sopravvento, si ricorreva anche ai SuperTele dei fratellini minori. Fu proprio in una di quelle occasioni, anche se nessuno lo sa, che nacque la maledetta. Prima di Pirlo, prima di Roberto Carlos. 


Eravamo allo scadere, lo si capiva dalla mamma del portiere che, prendisole azzurro e borsa di tela a tracolla, ci fissava da dietro la porta. L'ala sinistra si accorse di una palla vagante al limite dell'area e fece per andarle incontro. Cadde. Ci fu chi gridò al rigore, chi alla punizione, chi invece alla simulazione. Nella confusione decise la mamma del portiere: era rigore, ma poi si andava via.


Presi la palla con decisione e dopo una breve contrattazione con il capitano avversario stabilimmo l'equa distanza per il dischetto del rigore: circa a metà campo. Preparai allora la collinetta sulla quale adagiare il SuperTele giallo. Feci attenzione che la valvola fosse dalla parte che avrei colpito.


Nel frattempo il portiere si esibì nel suo rituale. Aggiustò i pali, estraendo e reinserendo, dopo averle ripulite dalla sabbia, le ciabatte destra e sinistra di sua sorella. Per innervosirmi calcò col piede destro la riga di porta in un lento moonwalking.


Lo fissai a lungo e lui fissò me. Decisi per la rincorsa breve, per non dargli punti di riferimento. Quando sua mamma mi diede il via indicando indispettita l'orologio, feci un mezzo passo e calciai con tutta la forza che avevo verso il palo destro. 


Colpii con l'alluce. La palla si impennò immediatamente. Era già a metà tragitto quando con calcolato effetto, e soprattutto l'aiuto del vento che da terra andava verso il mare, cambiò improvvisamente direzione puntando verso il basso e a sinistra. Il portiere rimase immobile, sbilanciato irrimediabilmente. Potè solo osservare la palla che acquistava velocità ad ogni giro su se stessa. Come una saetta andò a schiantarsi sulla punta della ciabatta. Palo.


'Maledetta', urlai. Ma era finita. Il portiere fu portato in trionfo dalla mamma che lo teneva per un orecchio. Gli altri già correvano urlando verso il mare. 


In silenzio, a metà guancia, evaporò la lacrima che versai.


martedì 10 giugno 2014

E alla fine arrivano i grilli



Per le vie del ghetto l'aria è ferma. Solo io e lei ci muoviamo, lenti ed affiancati. Passeggiamo senza meta, di tacito accordo, per rendere più lunga, lunga all'infinito, una sera di fine primavera.

All'inizio è il gelato. È buonissimo, mi dice, cremino ludovico e cioccolato fondente, in quella gelateria in Castiglione dall'altra parte del centro. Arrivati, però, cambiamo idea. È la volta del kebab. Dal kebabbaro migliore della città, propongo, al limitare del Pratello. E se fosse invece una birra chiara e alla spina al fresco del giardino botanico? Concordiamo, per poterci sussurrare all'orecchio, fingendo fastidio per la musica alta del gruppo sul palco.


Finiamo infine su una panchina di un piccolo parco in periferia. Di fronte le luci irregolari delle tv ancora accese. Sopra il cielo senza luna puntellato di stelle. Intorno i grilli che cantano e un treno lontano che va verso sud.


Mi guarda in silenzio. La guardo.


sabato 10 maggio 2014

Dodici minuti e sono lì, ovvero se Locke fosse un impiegato pubblico

Locke è la storia di un ingegnere, del suo tentativo di imporre razionalità e ordine ad un mondo disorganizzato con la propensione all'aggrovigliamento.
Fallirà.

Tutti noi, ogni giorno, nel nostro piccolo, siamo contemporaneamente Locke e i suoi interlocutori.



Venerdì, si lavora mezza giornata.
Ore 14, salgo in macchina, ricevo una telefonata.

'L'acqua bolle'.
'Butta i rigatoni, se il traffico è regolare, 12 minuti e sono lì'.

Suoneria di Orizzonti di gloria, gruppo calcetto.
'Michele non può venire stasera, l'impegno preso due mesi fa è confermato'.
Prova a contattare qualcun altro, io ora non riesco'.

Squilla di nuovo il telefono.
'Quell'elenco che ti avevo chiesto non è pronto'
'Lunedì te ne stampo una copia. Il file è nella cartella condivisa'

'Quante uova devo usare?'
'Per trecento grammi di pasta ne userei due, sia tuorlo che albume. Mi raccomando, abbonda con pepe e pecorino. Tra dieci minuti sono lì'.

'Ho provato, non trovo nessuno. Neanche Pasquale viene, con la pioggia non se la sente'.
'Va bene, contatta Pino, lui sicuramente trova due giocatori'.

'Non riesco a stampare l'elenco. Il toner della stampante è esaurito'.
'Non preoccuparti, la riunione è tra dieci giorni. Lunedì cambio il toner e stampo una copia'.
'Vorrei immediatamente una copia cartacea. Potresti tornare?'
'Non posso'

'Non abbiamo il guanciale'
'Non fa niente, usa la pancetta, l'ho comprata lunedì. Tra otto minuti sono da, se il traffico non aumenta'

'Ho mandato un messaggio con Whatsapp a Pino'
'Prova a chiamarlo, a volte Whatsapp non funziona'

'Non abbiamo pancetta, mi sono ricordata di averla data a Kitty ieri'
'Il negozio di fronte è ancora aperto, fa un salto e comprala'.
'Non posso andarci, sono tutta spettinata'
'Allora chiedi alla vicina del secondo piano. Falle il mio nome, è gentile e ci darà della pancetta. Tra sei minuti, se il traffico si mantiene regolare, sono lì'

'La settimana prossima ci sono le valutazioni annuali, se oggi non avrò quella stampa ne terrò conto'
'Dai una prima lettura a video, lunedì appena arrivo lo stampiamo'
'Ho gli occhi stanchi e la lettura a monitor mi dà fastidio, torna subito'
'Non posso'

'Pino dice che ora ci prova'
'Bene. Anche Giovanni ha dei contatti, puoi sentire anche lui?'
'Non ho il numero'
'Dovrei avertelo mandato con una mail due settimane fa. Prova a recuperarla'

'Niente pancetta. Sono qui da lei, mi dice che può darci delle zucchine'
'No, le zucchine no, la carbonara vuole il maiale. Cos'altro ha in frigo?'
'Olive nere, tonno fresco, porri, una bistecca, yoghurt, wurstel, scarola...'
'Take the wurstel and run!'
'Come?'
'Dicevo che vanno benissimo i wurstel. Tagliali a dadini e falli saltare in padella come fossero pancetta. Se il traffico è regolare, tra quattro minuti sono da te'.

'Sono Michela, il capo mi ha detto di andare alla stampante con il toner nuovo, cosa devo fare?'
'Allora, prima di tutto apri lo sportello con il pulsante verde a sinistra. Poi estrai il toner vecchio e inserisci quello nuovo'
'Di che colore è il pulsante?'
'Verde. Estrai il toner vecchio e inserisci quello nuovo'
'Fatto, non funziona'.
'Cosa?'
'La stampante. Continua a lampeggiare una scritta nel display'
'Cosa dice?'
'Chiudere lo sportello'
'E tu l'hai chiuso?
'No'.
'Fallo'

'La pasta è quasi cotta. Le uova, sbattute con pecorino, sale e pepe. I wurstel sono in padella'
'Bene, sei stata bravissima. Tra un minuto, se trovo parcheggio e dovrei trovarlo, sono da te'

'Pino no giocatori ankio poco bene no partita ciao'

'Ok. Ci sono riuscita ed ho stampato l'elenco'
'Grazie, puoi darne una copia al capo?'
'Non posso, è andato via. Aveva squash alle due e mezza. Ha detto che sei un incompetente e che non tieni al lavoro'

'Sto scolando la pasta'
'Ottimo, sono già in ascensore. Sento il profumo. Venti secondi e sono lì'.



sabato 26 aprile 2014

Ogni analytics ha le sue spine



Lo dice Google: 1005 sessioni complessive, 262 sono sue, 1 ogni 4.

Ci ho messo un po' a capire che fosse lei, che ci fosse una lei. All'inizio non la riconoscevo, persa tra gli altri. Erano solo flussi di dati, insiemi di città, dispositivi mobili e non, canali di accesso, nomi di pagine. Col tempo, però, ho imparato a riconoscere ricorrenze, ad associare una precisa configurazione di dati, e sue piccole varianti, ad una entità ben precisa. Che così da virtuale è diventata per me reale, conoscibile e conosciuta.

Per tre mesi almeno due visite al giorno, senza mancarne uno.
Preferibilmente a notte fonda da casa, quando l'insonnia la divora, ipotizzo.
Oppure dall'ufficio della multinazionale, quando è in pausa, penso. Nei giorni di festa spesso all'ora di pranzo, prima di mettersi a tavola con la famiglia, immagino. Raramente al mattino, per colpa del bioritmo che carbura lentamente, sono sicuro. Il più delle volte da un cellulare, coreano, prima però ne aveva uno americano.

Se per un po' non pubblico niente, gli accessi si intensificano. Sono come i ping di un sonar alla ricerca di un'eco che testimoni la mia persistenza in vita. Spesso, infatti, sono visite one shot, pagina principale per un attimo e via, per rispondere all'impellente bisogno di me. A volte, invece, le visite diventano più profonde, tre-quattro pagine, alcune ricorrenti, le sue preferite.

È capitato che pubblicassi controvoglia, sforzandomi di scrivere qualcosa, solo perché mi immaginavo il luccichio nei suoi occhi trovando un nuovo post.

Poi un giorno le scrivo, non sul blog, proprio a lei. Nella configurazione di dati c'era anche il suo indirizzo email. Dico ti penso, so che anche tu pensi a me. Ti va di vederci?

La mattina dopo mi svegliano i carabinieri, mi chiedono perché la spio, mi intimano di smetterla.

L'ho spaventata.

mercoledì 23 aprile 2014

O' flash mobbe


Costiera cilentana, agosto, prima mattina.

Il bar è silenzioso. Mario asciuga i bicchieri, Peppe al tavolino legge la Gazzetta. 
Un supersantos contro una serranda. O' pallone vo schiatto.
Da fuori il mare si fa sentire.  Un caffè, ordino. 
In tv, 'like a prayer'.

Life is a mystery
Everyone must stand alone

Chiudo gli occhi mentre aspiro l'aroma del caffé.

I here you call my name
And it feels like...

Home, aggiunge in falsetto una voce maschile.

Apro gli occhi. Mario mette a posto i cucchiaini. Uno sopra l'altro. Risuonano, mi pare a tempo.

When you call my name, it's like a little prayer

I'm down on my knees, I wanna take you there

Peppe continua a leggere, però ondeggia. Le spalle, per prime. Seguono la testa e il collo grasso. 


In the midnight hour I can feel your power

Just like a prayer, you know I'll take you there.

La crema densa del caffè disegna piccoli archi nella ceramica bianca.

I hear your voice, it's like an angel sighing

I have no choice, I hear your voice, feels like 

flying, dice Carmela affacciandosi dalla cucina.


I close my eyes, oh, God I think I'm falling
Out of the sky, I close my eyes, 

Heaven, help me, le risponde Peppe, alzando lo sguardo per un attimo.


Bevo il primo sorso, una robusta che sa di legno, calda e rotonda.


When you call my name, it's like a little prayer
I'm down on my knees, I wanna take you there

Carmela leggera spazza per la sala. Dal tressette in veranda Zi' Tore e gli altri, a furia di carichi sul tavolo, portano il tempo.


In the midnight hour I can feel your power

Just like a prayer, you know, I'll take you there

Like a child you whisper softly to me
You're in control just like a child, now I'm dancing - dice Carmela e si ferma trattenendo il respiro.

It's like a dream, no end and no beginning

You're here with me, it's like a dream, let the choir sing - le risponde Peppe fissandola dritta negli occhi.

Deglutisco. Mi riscaldo col calore della tazzina.

When you call my name, it's like a little prayer


Irrompono i bambini seguendo il supersantos.


I'm down on my knees, I wanna take you there


Corrono intorno ai tavoli.


In the midnight hour I can feel your power


Zi' Tore ha interrotto il tressette e dalla finestra agita le mani.


Just like a prayer, you know, I'll take you there


Mario all'improvviso cambia canale. Parte un annuncio pubblicitario. 

Le gomme Tufano. Tutto si spegne

Carmela raccoglie la spazzatura, Peppe inizia a sfogliare Il Mattino.

'O pallone vò schiatto', dice Mario ai bambini che scappano via.
'Napoletana a coppe' chiude Zi' Tore.

Bevo l'ultimo sorso ad occhi chiusi. 

E' quello più importante, il cui ricordo mi accompagnerà sino al prossimo.

Pago e me ne vado.



p.s.: sarebbe da rileggere con la colonna sonora giusta...

Madonna - Like a prayer