venerdì 17 ottobre 2014

Al venerdì piadina


Il rituale della piadina al venerdì prevede la doppietta.

Inizia con la prima leggera e classica. Sottile, tipo Riccione. Crudo e rucola, ma 'lo squacquerone no, perché mi appesantisce e poi chi ce la fa a lavorare'. Chi ordina per ultimo sa che distrattamente, a bassa voce, così che nessuno possa davvero opporsi, dovrà far cadere un 'birretta?'.

Che poi invece è da 66, ma Peroni, così è un po' meno grave. Praticamente finisce nell'attesa delle piadine. Per cui al primo morso, quando il bolo sembra proprio non andare giù, la seconda birra è percepita come un ausilio medico. Chi va a prenderla è accompagnato dall'approvazione di tutti.

I primi bocconi, dettati dalla fame, sono frequenti e profondi. Perdono velocemente intensità per prolungare il piacere. Si arriva al punto di raccogliere le briciole nella carta oleata che conteneva le piadine. A quel punto, con le dite ancora unte, ci si scambia uno sguardo d'intesa. Gli argini sono ormai rotti. Le inibizioni superate. La digestione lenta è solo un rischio remoto.

Per tradizione mi alzo io, sono lo specialista. Non c'è bisogno di concordare perché il mandato è inequivocabile: nessun limite. Oggi è stata la volta di una Bertinoro, spessa e sostanziosa, con ventricina piccante e scamorza affumicata. Le birre sono sempre almeno due, e 'se non ce la fai a portarle, ti aiuto io'. Un giorno, lo so, avremo il coraggio di pareggiare la doppietta classica del mare, quella che finisce con salsiccia, peperoni e cipolla. E pennica in spiaggia.

Torniamo al lavoro in silenzio, con l'occhio lucido. 

Controllo, non ci sono riunioni.

Burp.


venerdì 10 ottobre 2014

I nonni ovvero il tradimento del narratore


Questo post non c'entra niente con le storieadunpassodallesserevere. E' iniziato tutto scoprendo una ricorrenza. Un secondo prima neanche sospettavo esistesse e l'attimo dopo avevo già scritto quello che segue.


"Dunque, oggi dovrebbe essere la festa dei nonni. Allora colgo l'occasione per ricordarmeli.
Andando in ordine, prima i maschi.

Aniello, bello come un attore del cinema americano anni '50 e imprenditore, curioso e lungimirante. Il dopoguerra e la povertà gli avevano fatto nascere la passione per la bicicletta. Di quelle da uomo, di un tempo, con la canna resistente per il passeggero, mia nonna, che portava ovunque, colline comprese. Verso la fine non riconosceva più nessuno, tranne Rosa, una duenne, la più piccolina della famiglia. È stato l'ultimo dei tanti insegnamenti, la mia eredità: le poche risorse che si hanno vanno investite sui giovani.


Rocco, il ribelle, terminò gli studi in seconda elementare per un diverbio con la maestra. Poco dopo scappò di casa per andare a lavorare nei campi. La storia del suo primo giorno di lavoro me l'ha raccontata centinaia di volte, anche l'ultima che ci siamo visti. Dentro c'erano l'epica del viaggio stipato in un carretto, l'avventura delle notti passate in un granaio, la delusione della paga rubata dal caporale e il riscatto della giustizia che infine trionfa. Questa storia, ad ogni racconto, era sempre più bella, con un'attenzione ai dettagli e una maestria negli esporli che ho cercato di rubargli. È stata la mia eredità.


Elisa, detta Lisetta, un archivio vivente. Ricordava ogni singola persona avesse mai incontrato e di ciascuna conosceva relazioni parentali, domicilio ed episodi salienti della vita. Le piaceva raccontare storie. Erano sempre diverse, spesso partivano dalla quotidianità, ma tutte ad un certo punto finivano tra le due guerre quando lei era giovane e spensierata. Raccontava per ricordarsi i momenti felici e per condividere la gioia che emanavano. I racconti sembravano veri, ma non potevi mai dire sino a che punto lo fossero. Queste storie ad un passo dall'essere vere sono state la mia eredità.


Maria, l'ultima a farsi portare via. Rigida e generosa, capace di bassi a cui potevano seguire alti importanti. Per amore, da cittadina figlia di un capostazione si era fatta contadina in un paesino 
di campagna. Negli ultimi anni, mi sono reso conto, abbiamo iniziato ad avere in comune più di quanto avessi mai pensato. Le piaceva mangiare quanto a me cucinare. Una volta, era già a letto immobilizzata, le chiesi 'a no', quanta cioccolata ti porto?', mi rispose 'quanta ce ne sta'. Questo atteggiamento verso la vita è stata la mia eredità e da allora ho cercato di farlo mio."


Questo post non c'entra niente con le storieadunpassodallesserevere. E' solo un espediente che uso perché da qualche parte devo conservare i miei ricordi. Li scrivo per la paura che si perdano e scrivendoli mi perdo nel piacere della narrazione. Finisce così che i ricordi facendosi racconti diventino altro, conservando intatta, però, l'emozione.

Questo post non c'entra niente con le storieadunpassodallesserevere. Forse.