martedì 31 dicembre 2013

Riti tradizionali dei tardotrentenni: l'addio al celibato


Addio al celibato. Barcellona. 8 uomini e un weekend.

Arrivo all'aeroporto in autostop e senza bagaglio a mano, si fa il dritto di 48 ore.  Tapas come se dal giorno dopo iniziasse la guerra; chupitos in sequenza, il chupitero ad un certo punto ci fa accomodare dietro il bancone e ce li prepariamo da soli; Raval alcolico per aspettare le 3 e poi Razzmatazz sino all'alba. Finisce con alcuni che ballano a torso nudo sui cubi e gli altri che fanno la ola intorno. Dritti alla Barceloneta per la colazione con patate fritte e birra, pennicchella sulla spiaggia fino all'aereo del rientro.
Questo è quello che abbiamo raccontato.

Questa, invece, è la verità.
Arrivo in ordine sparso all'aeroporto, accompagnati dalle compagne e da bimbi da baciare con l'occhio umido, il nostro. Uno dei partenti ha la febbre ed è imbottito come l'omino della Michelin, anche se è maggio. Litighiamo all'imbarco per le dimensioni del bagaglio. Riusciamo a far desistere le hostess della Ryan Air. In taxi sino all'hotel prenotato ancora prima dell'aereo, e sotto le 3 stelle no, perché sull'igiene e la pulizia niente compromessi. Ci si vede alle 8 per uscire. Nella hall alle 8.30 non c'è nessuno, qualcuno litiga per i tempi lunghi in bagno, qualcun altro dorme perché è già un po' stanco. Tapas, ma con moderazione. Non avete qualcosa di più leggero? Tutto questo baccalà fritto, poi finisce che non dormo bene. Il chupitero ci allontana, deprimiamo il resto della clientela se continuiamo a chiedere chupitos analcolici. Al Raval no, perché ho visto un documentario e dice che è pericoloso. Aspettiamo allora mezzanotte in plaça Catalunya scambiando messaggini con le metà rimaste a casa e poi via al Razzmatazz, tanto ci faranno entrare, no? Cerchiamo subito la sala più adatta a noi: quella tecno no, c'è troppo rumore; quella commerciale nemmeno, c'è troppo fumo; quella anni '80 è perfetta, ci sono dei divanetti comodissimi e la musica non è tanto alta. In realtà è il bar della discoteca. Facciamo le 3 mostrandoci foto sul cellulare e parlando di malattie infantili. Quello single, per riservatezza non dirò chi è, ci prova con una bionda. Queste straniere ci stanno subito. Si scopre invece che è di Milano e ci sta di brutto, con un tizio di Bordeaux però. Alle 3 e mezza tornano in hotel in sei, si è fatta una certa e domani bisogna affrontare il viaggio di ritorno. In due ordiniamo un redbull e vodka e rilanciamo: si fa chiusura. Perché redbull e vodka ti carica. La carica tuttavia dura giusto 30 secondi, sino al momento di pagare. Ma cazzo, costa 10 euro un vodka e redbull? ai miei tempi costava cinquemila lire! Alle 6 guardiamo l'alba al porto olimpico, alle 6 e 15 ci rubano il cellulare sulla metropolitana, alle 6.30 arriviamo in hotel dove troviamo la polizia, chiamata dagli altri perché non ci hanno visto rientrare ed erano preoccupati. Alle 6.50 andiamo al pronto soccorso perché quello con la febbre dice di sentirsi male, ha la netta impressione di avere un attacco cardiaco. Lo riportiamo indietro a spalle, imbottito di psicofarmaci da dottori spazientiti dagli ipocondriaci. Alle 9 siamo alla Sagrada Familia perché non si può venire a Barcellona e non visitarla. Apre alle 10 ma c'è una fila tale, come? non avete prenotato online?, che decidiamo di andare direttamente all'aeroporto per non correre rischi. La giornata svolta perché scopriamo che a El Prat ci sono 15 minuti di wifi gratuito e ne approfittiamo per aggiornare gli status di facebook. 

Torniamo a casa, sentendoci eroi. 
Dai, l'anno prossimo lo rifacciamo anche senza addio al celibato, ci diciamo mentendoci.

sabato 28 dicembre 2013

Chi vince e chi perde


Si gioca su più tavoli.

Nel primo una Guinnes Extra Stout, una Franziskaner Hefe Weisse, una Tennent's Scotch Ale e una Harp Lager separano ventagli di cinque carte e sguardi torvi. Nel secondo una Spezi e una Hacker-Pschorr Gold a caduta libera e bassa fermentazione si lanciano sguardi di sottecchi, tenendosi a distanza.

Apro, dice Tennent's, e tutti lo seguono immediatamente. 
Spezi si raggomitola sulla sedia, le lunghe dita tentacolari e smaltate piantate sul tavolino.

Tennent's ne cambia solo una, Harp tutte. 
Spezi si inclina in avanti, gli occhioni nocciola spalancati e fissi su di lui, Hacker-Pschorr impettito ha la tempia rigata da un rivolo di sudore.

Franziskaner vede e rilancia, Guinnes lascia, Harp tentenna, distratto dall'altro tavolo.
Spezi riprende la fisamornica, ginocchia tirate al mento, si tocca i riccioli biondi con la destra. Hacker gesticola e si infervora, racconta con passione.

Franziskaner analizza ad alta voce: primo appuntamento, massimo il secondo, si vede dalla prossemica, non si toccano. Harp apre agli scenari futuri: in ogni caso, sono trentenni ma abitano con mamma e papà, se anche fosse dove vanno, al parcheggio del campo sportivo? 
Prima che io abbia finito questa Guinness, i piccioncini avranno concluso la trattativa, 50 euro, è la sentenza del silenzioso Extra Stout.

A labbra socchiuse Spezi ascolta, ridacchia a intermittenza, Hacker prende il cellulare. E' finita, dice Harp, se uno prende il cellulare al primo appuntamento merita di essere scaricato, 50 euro che tra un po' lei prende il suo e si mette a messaggiare qualcuno. Ma lei ne vuole, si vede, puntualizza, Tennents. 
Spezi si sposta dallo sgabello sullo panca, di fianco a Hacker. 
50 euro che questi limonano davanti a casa di lei, rilancia Franziskaner, li seguiamo all'uscita.

Hacker le mostra delle foto sul cellulare. Spezi si apre in un sorriso e distratta poggia la testa sulla sua spalla. Nel dubbio gattini, è la vecchia tattica – commenta Tennents – si baciano all'uscita del locale prima di arrivare in auto. Sì, però lei ha davvero delle scarpe orrende, appena lui se ne accorge la molla, cerca di autoconsolarsi Harp. Nessuno ha mai fatto caso alle scarpe di una donna, figuriamoci – riporta tutti alla realtà Guinness e gli altri annuiscono in silenzio.

Hacker le mostra le foto della vacanza in Salento, lei risponde con un grattino, lui per caso le tocca la mano. Eh no, cazzo, il Salento no – con un urlo strozzato Harp – questo tizio è la fiera dell'ovvio. Tranquillo, ora le guarda le scarpe e la molla, lo irride Tennent's. Oh, guardate quella coppia al banco - cerca di deviare l'attenzione Franziskaner. Guinness richiama tutti all'ordine con un colpo di tosse. Gli sguardi si abbassano, si estraggono i portafogli. Banconote calano sul tavolo di legno scuro, va giù l'ultimo sorso di Guinness. Sotto il piccolo albero di Natale sulla mensola nell'angolo Spezi e Hacker furiosamente si scambiano saliva e morsi.

Raccolta la vincita si avvia verso l'uscita, non senza aver strizzato l'occhio ad Hacker che bacia e scruta il locale (Cazzo, bacia pure ad occhi aperti – in sottofondo l'urlo disperato e sprezzante di Harp).


50 euro che tra 5 minuti lui si ordina una Peroni e le chiede di stare zitta, ché vuole vedere come finisce la partita, riapre Tennent's. Spezi soddisfatta si guarda intorno.

venerdì 27 dicembre 2013

Caffè e senso di colpa


Le sette del mattino di un lavorativo lunedì, abusivo tra Natale e Capodanno. C'è nebbia dalla quale spuntano i rami spogli dei noccioli e i fanali dei camion diretti a nord. Lulù e Coccobill, un barboncino decaduto e un incrocio non districabile, si ringhiano vicendevolmente per gli avanzi di lasagna. Vince Lulù, ad ogni modo.

Isolato lungo la strada provinciale sta il bar Oasi Verde, proprio di fronte al cimitero. Voci confuse che si sovrappongono ti accolgono già dal parcheggio, auto degli anni '80 sfidano la fisica per conquistarsi un posto. Fuori il campo da bocce di ordinanza e i tavolini del tressette. Altre voci si sovrappongono, sono di qualche anno fa, dei tempi dei primi cellulari, quando da quello di mio padre partivano involontarie chiamate nei momenti chiave delle partite. Le prime volte mettevo giù sacramentando, poi, col tempo, ho iniziato ad appassionarmi. E a me quell'Ernesto con tutti i suoi assi non me l'ha mai raccontata giusta. Sul retro il campo di calcetto in terra battuta, teatro delle prime edizioni del “Torneo Paesano”, l'occasione annuale durante la quale si regolavano conti e si stabilivano gerarchie per l'anno a venire. Una gabbia circondata da tutti i lati da una rete, compreso l'alto; entravi sapendo quello che ti aspettava.

Anche dentro al bar c'è nebbia, o almeno così mi sembra. Pesanti giubbini blu e cappelli di lana calcati sulla testa si addensano al bancone. Un caffè alla nocciola, chiedo quando finalmente riesco a intrufolarmi. Rigorosamente in vetro e a duecento gradi. Tutti bevono d'un fiato; io, vergognandomi, aspetto un po' che si raffreddi. Ah, che bellu café, sule a Napule o sanne fa'. Ma pure a Montoro non scherzano.


Quando esco respiro a pieni polmoni l'aria pungente del mattino e il profumo dei caffè bevuti dagli altri. Sorridono tutti, sorrido per contagio. A questo punto mi sentirei pronto anch'io per andare a lavorare in un abusivo lunedì lavorativo tra Natale e Capodanno, probabilmente in nero e sottopagato. E invece aspetto che una Ritmo parta sgommando e mi allontano verso casa, colpevolmente in ferie pagate.

mercoledì 25 dicembre 2013

L'odore del Natale


Tutto inizia al mattino della vigilia, prima ancora della sveglia. Ogni anno è così, lo sai per esperienza, ma non serve a niente anche se ti sei barricato in camera. Non ti proteggeranno convenzioni internazionali e non sono previsti ispettori, né d'altra parte servirebbero. Niente è nascosto, tutto è palese e previsto. E' il temuto capitone. Si insinua sotto la porta, ti raggiunge nella fase più delicata del sonno. L'ultima, la più preziosa. Quella nella quale recuperi, di anno in anno sempre meno, i 700 chilometri fatti il giorno prima e arrivare a notte inoltrata. Ti coglie tra veglia e sonno, istilla incubi striscianti e maleodoranti.

Non servirà spalancare il balcone nel freddo dicembrino. Non servirà la doccia prolungata. Non servirà il caffè amaro per eliminare dalla bocca il sapore dolciastro dei tranci che sfrigolano. Anzi, peggio. I biscotti, porosi, ne sono intrisi. La ceramica delle tazzine è unta dal grasso che nell'aria si diffonde. Perfino l'acqua, se portata all'ufficio competente, comporterebbe l'arresto immediato della genitrice per indotto avvelenamento da colesterolo.

E allora vai al bar. Sperando che la fuga ti porti a luoghi incontaminati. Lì incontri gli amici. Altri reduci come te. Con occhiaie da sonno disturbato. Capelli unti. Sguardo colpevole di chi sa di portarsi dietro l'aereo stigma. Si cerca di sdrammatizzare parlandone. Oggi insalata di rinforzo, con extra cavoli – dico a uno, annusandone l'afrore. Sì, a noi il capitone non piace, mi risponde. Da noi soprattutto baccalà, autodenuncia il barista. Ci scambiamo auguri, strette di mano, odori di cui siamo profondamente intrisi.


Le auto partono sgommando verso direzioni opposte, ognuno si avvia al proprio destino ipercalorico.
A me il capitone neanche piace.

mercoledì 18 dicembre 2013

Passato, presente e futuro

Accovacciata sui gradini, con le gambe piegate, le ginocchia che si toccano a ics. In mano un evidenziatore, sottolinea furiosamente. I capelli lunghi e neri scivolano sulle spalle, si fondono con le fotocopie. Mi accorgo di lei al primo passaggio. Pochi passi e sono già di ritorno. Sbircio. E poi ripasso ancora. E ancora. Guardo distrattamente un punto vicino, fingo una dimenticanza giustificata da un borbottio. Scrivo subito a Lei: ho visto una in biblioteca, sembravi tu 15 anni fa, eri bellissima. Aspetto un sorriso, mi risponde con un vaffa.


E' sera, passeggiamo sotto i portici, le luminarie in festa. Nell'aria le caldarroste, il freddo mitigato dalla mano che stringe la mia. Nel mercato vecchio le pescherie preparano la chiusura con detersivi strabordanti, le mamme trascinano bambini appiccicati alle vetrine dei dolci, i fruttivendoli espongono cesti colmi e colorati. E lì vedo lei, va per gli ottanta. Il passo malfermo ma elegante. L'amore per i cappelli di feltro a tesa larga e la mano curata che si muove veloce. Con voce squillante, leggermente nasale, intrattiene l'anziano commesso ammaliato dagli occhi profondi. Vedi, dico alla mano che stringe la mia, tu sarai così, si capisce già. E io resterò sempre rapito dai tuoi occhi, mi piacerebbe aggiungere. Ma Lei è già andata via, il calore di uno schiaffo sulla guancia.

Allora torno a casa. Confuso dal presente, cercando di dimenticare il passato, senza pensare al futuro.

domenica 1 dicembre 2013

Ombre rosse intermittenti



Sera di inverno. Esco dal lavoro. L'aria fredda brucia.
Cappello di lana calcato sulla testa, guanti, quadruplo strato sul petto – maglia-di-lana, camicia, maglione e giubbotto da sci – pigiama sotto il jeans, calzettoni di lana grossa.

Pedalo con fatica tra gli alberi poco illuminati di via Barontini. Le  auto parcheggiate restringono la carreggiata, quelle frettolose mi sfiorano e sfanalano. Gli occhiali si appannano per il sudore. Un'ombra lontana attraversa via Paolo Fabbri. Un cancello automatico si chiude rumorosamente.

Piego a destra e mi immetto sul rettilineo di via Bentivogli. Largo, lungo e ben illuminato. Termina con una leggera salita. Mi alzo sui pedali e supero le auto ferme al semaforo. Al verde sento uno scampanellio dietro di me, accelero infastidito e imbocco via Albertoni.

In via Pizzardi inizia un dedalo di stradine a pianta ortogonale, strette e alberate, malamente illuminate dalle vetrine di negozi in chiusura. La ciclabile, ricavata sul marciapiede, tira dritto sino a via Azzurra. Pedalo arrossato per la fatica e per il freddo. Poco dopo il semaforo di via Palagi, una folata di vento mi supera sfiorandomi, attraverso le lenti appannate vedo il fanalino posteriore di una bici che velocemente si rimpiccolisce. Un cane latra lontano.

All'incrocio con via Rocchi una bici da corsa nera attraversa la strada. Lo spilungone che la monta si volta per un attimo a guardarmi, vedo solo la luce intermittente che ha sul caschetto. All'altezza della casa di riposo si sentono voci dalle finestre del primo piano. Quando ci passo vicino, per una attimo si zittiscono. Una portiera sbatte.

Nel parco dell'arcobaleno la ciclabile diventa una tortuosa serpentina tra frasche buie che affronto a testa bassa. All'ultima curva una bici contromano mi schiva all'ultimo e si allontana. Sento nell'aria il profumo di rose e la mia inquietudine.

Un sospiro di sollievo in via Vetulonia. Il marciapiede è largo, ben illuminato e ci sono nonni con la spesa che affrettano il passo verso casa. Manca solo il parco di via Misa, un saliscendi stretto e frequentato solo da cani che portano padroni a respirare prima di cena. Questa sera non c'è nessuno. Dall'appartamento del terzo piano sento i titoli del tg3.

Subito dopo lo strappetto in salita e poco prima della deviazione a destra, all'altezza del tiglio principale, vedo luci che velocemente si avvicinano. Una gialla, fissa, ed una rossa lampeggiante più in alto. Nell'attimo in cui mi affianca sento uno scampanellio. Scompaiono alle mie spalle.

Accelero affannosamente, ormai manca poco. Lungo viale Lenin sento odore di rose. Imbocco l'ultima ciclabile, casa mia sullo sfondo.L'ultimo capofamiglia in ritardo si infila in un portone. Casa mia è sullo sfondo. Evito una palla abbandonata e schivo il tombino sopraelevato.

Mi rifugio ormai a corto di fiato sotto il portico di casa mia, il deposito delle bici è ad un passo.

La porta è aperta; la luce, accesa. Sudo. Le lenti appannate e inservibili. Lascio la bici ed entro a piedi. Sul muro bianco si riflette a intermittenza un'ombra rossa, nell'aria sento pipì di cane e profumo di rose. Si volta e mi mostra i denti. 'Buonasera', mi dice. In una mano il mazzo di rose, nell'altra il caschetto illuminante. Mi aggira e se ne va.

E' quello del secondo piano. Ha parcheggiato nell'ultimo posto disponibile della rastrelliera. Anche oggi mi tocca lasciare la bici attaccata al palo in strada. Me la ruberanno.

venerdì 1 novembre 2013

Past' e patane economy


La pasta e patate (nella letteratura anglosassone "pasta with potatoes" o "P&Ps") è, tra gli investimenti produttivi, uno dei più sottovalutati.  Grazie all'impiego iniziale di risorse, tra l'altro limitate, si ottengono molteplici effetti positivi: si fa girare moneta (e, richiedendo lo scontrino nella fase di approvvigionamento, si aumentano le entrate fiscali), si soddisfano immediati bisogni primari e con il cosiddetto "grandma effect" (impropriamente tradotto "effetto nonna"), autentico fenomeno tuttora non adeguatamente formalizzato per il quale consumando risorse contemporaneamente le si accantona per un momento successivo, si ha a disposizione un bene di valore ancora maggiore per il futuro. Spiegato in altro modo, a beneficio di Fassina, la pasta e patate che avanza per il pranzo del giorno dopo è ancora più buona.

Alcune scuole di pensiero della tradizione meridionale di matrice contadina ("Southern countryside tradition") considerano la pasta e patate inferiore dal punto di vista della redditività e degli effetti sull'economia reale rispetto alla pasta e fagioli (anche detta "past' e fasule" o "pasta with beans"). Tali studiosi sottolineano, nel caso della pasta e fagioli, il superiore margine di incremento del benessere individuale dovuto al ripristino di una corretta gestione dei processi intestinali. 

Tuttavia riteniamo che questi risultati risentano di una eccessiva semplificazione del modello utilizzato che non tiene conto delle esternalità (dalla diminuzione del benessere individuale dei soggetti in relazione di prossimità, alle emissioni nocive nell'atmosfera). In altre parole, a beneficio di Fassina, la pasta e fagioli peggiora i rapporti con i propri vicini e non è ecosostenibile.

Restano da approfondire, e si rimanda pertanto a future pubblicazioni, l'analisi degli effetti sull'economia della "pasta e piselli" ("pasta with peas, the small green ones") e della "pasta e lenticchie" (in italiano anche nella tradizione anglosassone).

lunedì 28 ottobre 2013

Porte scorrevoli malfunzionanti


Davanti a me una grande sfida. Di quelle che poi non vedi l'ora di raccontare.

25 minuti per arrivare da casa mia alla stazione. Tra me e il regionale per Rovigo più o meno 6-7 km di gimkane tra taxi, mamme in suv e autobus guidati da psicolabili; passaggi a livello come quello del film "Non ci resta che piangere"; il ponte di via Libia che pare il Tourmalet.

Tutto da fare pedalando a cento all'ora per arrivare senza fiato e sudato in stazione, attaccare la mia bici alla prima ringhiera libera, alzare lo sguardo all'orologio nella piazza e in apnea fare il sottopasso sino al binario 11, salire sul regionale mentre si chiudono le porte, togliersi la giacca mentre il capotreno fischia e chiedere con un sorriso soddisfatto alla mia compagna di viaggio "aspettavi da molto?".

E invece ho preso la macchina.

martedì 22 ottobre 2013

Sacro Gra, una specie di se una notte d'inverno un viaggiatore



Ci sta uno che passa le notti in ambulanza, ci sta uno che pesca le anguille nel Tevere, ci sta uno che è nobile ma s'annoia un sacco soprattutto con i lituani, ci sta uno o una che ha una cara amica o un caro amico col camper e gli o le piace cantare, ci sta un padre anziano che disturba la figlia mentre studia, ci sta un dj di salsa e merengue, ci sta uno che ce l'ha coi parassiti, ci sta...
Ognuno ha la storia sua, ma sono storie piccole, minime, e neanche si capisce dove finiscono, ammesso che siano mai iniziate. Tranne quello con l'infarto che, non lo dicono, ma per me non ce l'ha fatta.

Niente di ché, pensa uno. E invece no.
Perché poi esco e pedalo verso casa. In via Rialto una ragazza, ricci castani che spuntano da un basco nero di traverso, gambe lunghe e sottili sotto un cappottino beige e una gonna nera e svolazzante, mi attraversa davanti e si avvia nel buio dei portici. In via Pizzardi in un bar vuoto e illuminato a giorno, un vecchio solo e vestito a festa, giacca nera camicia bianca e cravatta con nodo grosso, sfoglia il giornale del mattino ormai lontano. Il parco dell'Arcobaleno è deserto e solo mi accompagnano la luce sfocata dei lampioni e il ronzio regolare della dinamo. In via Marx le auto delle mamme si allontanano, un allenatore con in spalla una rete piena di palloni attraversa il campo di calcio per raccogliere pioli. Nella ciclabile di via Barbacci una signora, che s'intuisce esser stata bellissima, tenta di convincere un cagnetto che piedi puntati non ne vuol sapere di andare avanti e fissa terrorizzato il buio.

Se non avessi visto Sacro Gra, tutte queste storie mi sarebbero sfuggite, per sempre. Avrei saputo meno e quindi visto e percepito meno.
E sarebbe stato un peccato, no?

sabato 12 ottobre 2013

Infelici storie amorose ai tempi di Tuitter e dei centoquaranta caratteri


Il Crofibrottero posta, tagga, tuitta e instagramma. Poi un giorno, senza pensarci, pubblica una foto con la Pina. E la Crofibrottera lo lascia.

In una specie di piccola competizione, dato un nome di animale fantastico avete 5 minuti per scriverci una storia in 140 caratteri, è stato votato da una minigiuria (20 persone) e mi ha fatto vincere un libricino. Certe volte basta veramente poco.


giovedì 10 ottobre 2013

Gravity e lo spreco dei soldi pubblici



Ci sono 3 dipendenti pubblici che perdono tempo nell'aggiustare un telescopio. Uno addirittura si fa i giretti con uno scooter all'ultima moda e racconta barzellette, tra l'altro vecchie. Poi all'improvviso i cinesi fanno un casino e arriva la crisi. Ma i dipendenti pubblici indolenti indugiano. Uno viene esodato, gli altri due per un pelo scappano in scooter. Prendono troppo forte l'ultima curva e sbandano. Dei due, solo una rientra al posto di lavoro. L'altro si allontana. E dopo un po' non risponde più al telefono. Imboscato in palestra.

L'altra inizierà finalmente a lavorare, uno pensa. E invece no. Come entra, si mette in mutande e fa un sonnellino. Scoppia un incendio, sempre colpa dei cinesi, lo diceva Tremonti. Nonostante il corso sul decreto 81 fa un casino con l'estintore. Peggiora le cose e allora scappa di nuovo, con un'auto di servizio. Lenta lenta va verso un altro ufficio, uno della rappresentanza diplomatica cinese. Ma mica per faticare, è che vuole parlare con casa e dire di buttare la pasta. 

Fa sembrare complicato pure aprire una porta. Ma alla fine riesce ad entrare e si siede al computer. Lo accende, però non sa usare i programmi. Il giorno del corso aveva la riunione sindacale e non è potuta andare. Prende un'altra auto di servizio. Siccome non sa parcheggiare la fa finire in mare. Ne approfitta per un bagnetto e poi sai com'è, sono le 5, arrivederci a tutti e va a casa.

Stringi stringi è questo. Poi sì, ci sono pure le astronavi, la Terra vista dallo spazio, e i detriti cosmici. Ma si sa, quando si tratta di sprecare soldi pubblici, non si bada a spese.

lunedì 7 ottobre 2013

Il talento e il rischio d'impresa

Per festeggiare le prime 4.000 visite, quella volta che sono stato a tanto così dalla notorietà. 
A soli 185 euro dal successo e dal riconoscimento.





"Buongiorno, chiamo da parte dell'editore, abbiamo ricevuto una sua poesia per un concorso e ci ha colpito moltissimo".
"Bene".
"Ci piacerebbe inserirla all'interno di un nostro progetto editoriale. Una selezione di poeti emergenti. Lei scrive da tanto?".
"No, direi di no".
"Davvero? Che peccato, ha talento".

"Beh, grazie".
"Nel nostro volume potremmo raccogliere sette delle sue poesie e ne faremo inoltre un ebook in vendita su Amazon. Così potrà esserci anche un ritorno economico per gli autori".
"Benissimo".
"In più ne trarremo un video. Lei ha diritto a 6 copie cartacee".
"Ottimo".
"Ovviamente dietro un piccolissimo contributo di 185 euro".
"...".
"Cosa ne pensa?".
"Non mi convince". 

"Ma guardi che le diamo anche una bicicletta col cambio shimano".
"Diciamo che sono interessato più ad uno scambio nel quale io ci metto il talento artistico e l'editore il rischio d'impresa".
"Arrivederci".

"E la bicicletta?".
"Arrivederci".

domenica 6 ottobre 2013

Frammenti di un discorso amoroso



"I tuoi no sono i mattoni di un muro che crollerà fragorosamente sotto i colpi delle mie carezze"
"No", mi risponde con un rutto

'Un pomeriggio libero senza te è come un ragù senza soffritto'.
'Alla lunga il soffritto nuoce al fegato'.

"Sei una carbonara con tanta pancetta".
Affumicata o dolce?”.

"Ti ho pensata ogni minuto. Anche mentre dormivo."
"Esageri"
"Ti porterò l'elettroencefalogramma. Riconoscerai un'onda tipica e ricorrente. Sei tu."

Avrei voglia di lamentarmi, ma non lo farò”.
Stai migliorando”.

"Una volta ho fatto un corso di guida sicura con un pilota."
"Mmm?"
"La cosa più importante che mi ha detto è stata a proposito di come si affrontano le curve. Mi ha detto che quando ti inserisci nella prima, devi già avere in mente la seconda. La prima devi affrontarla in modo che sarai in grado di superare con sicurezza quella dopo." 
"Mmm!"
"La vita è proprio uguale."
"Ma che aereo pilotava?"
"Chi?"
"Quello con cui parlavi"
"Buonanotte"
"Buonanotte"

“Ieri ho sognato che mi baciavi”
“Ah sì?”
“Ed ho capito che è ora di andare via. Alla nostra età dovremmo baciarci sul serio. Non sognare di farlo”.
“Tirati dietro la porta quando esci. Altrimenti rimane socchiusa”.

“Ma che l'hai chiusa davvero la porta?"
"Apri! Mi sono chiuso fuori. Fa freddo!"


domenica 22 settembre 2013

Pronto?

Non tutto il male viene per nuocere. 

Quando ero giovane potevo passare ore al telefono traendone piacere infinito. Con l'età invece le telefonate sono diventate simili ad una pratica da sbrigare più velocemente possibile. Temo sia un riflesso condizionato dal lavoro, il meccanismo di difesa che inconsapevolmente ho costruito per difendermi dalle centinaia di rompitori di scatole all'altro capo del telefono.


Solo che ora non riesco ad abbandonare il fare sbrigativo e poco partecipativo, neanche nelle chiamate personali, neanche impegnandomi.


Però risparmio molto sulla bolletta.


Non tutto il male viene per nuocere.

sabato 21 settembre 2013

"Mister, mi scaldo?", "No, che poi ti stanchi".



Torneo interaziendale. Dieci squadre, partite cinque contro cinque della durata di quindici minuti. Folle di maschi sovrappeso si affrontano all'ultimo respiro. Uno dei primi, tra l'altro.
Io, vicino ai quaranta, sono il più giovane della mia squadra, la selezione della Provincia. Sento su di me il peso dell'aspettativa.

Il sorteggio va male, girone di ferro. La prima è contro la temibile armata della forestale. Gira voce, in panchina, che il loro numero 5, alto grosso e peloso, si sia preparato alla partita con 3 giorni di digiuno. Il piano partita è chiaro, perdere tempo. Il pallone finisce nel bosco di fronte 3 volte, e il nostro portiere ci tiene a recuperarlo personalmente. Al 5° minuto il nostro anziano stopper finge un infarto e gli tocca subire il bocca a bocca di una delle riserve della squadra del 118. L'attacco epilettico dell'ala viene purtroppo ignorato dall'arbitro, ma salva il portiere che chiama time out. Nonostante le proteste avversarie circa l'inesistenza dei time out nel calcio. Termina zero a zero. Rimango in panchina tutta la partita.

La seconda è contro l'Alta Velocità. Operai minuti ma cattivi con un solo obiettivo, tirare sempre e comunque, anche da lontano. La tattica purtroppo frutta. Raccolgono sei gol, i due incisivi di un nostro terzino e il polso distorto del portiere, che termina qui il torneo. 'Mister, mi scaldo?', chiedo ad un certo punto. 'No, che poi ti stanchi'.

Nella terza sfidiamo l'Ordine degli Ingegneri. C'è un calo di motivazione. Il mediano inizia ad evocare le tagliatelle che pare la moglie gli abbia preparato proprio questa sera. Ma la maggioranza non vuol sentire ragioni e si continua. Gli avversari, evidentemente scapoli, non si impietosiscono e ne fanno 3. Io entro a due minuti dalla fine, il tempo di un malinteso su un retropassaggio che si infila all'angolino alto.

In panchina si litiga. Siamo in dieci e si gioca in cinque. 'Io ho già giocato diversi minuti, tocca a lui', è la frase ricorrente. In due producono un certificato medico appena redatto da quelli del 118 e conquistano la panchina. Per gli altri si ricorre al sorteggio. Mi tocca entrare dal primo minuto.

Nell'ultima partita affrontiamo l'Unione dei Comuni Valle di qualcosa. Sono brutti, vecchi e pelati come noi. Tranne 3, imberbi e probabilmente minorenni. Assunti in deroga al blocco delle assunzioni di tremontiana memoria. Il loro piano partita è semplice, palla ai ragazzini e ci pensano loro. Il nostro è essenziale, sopravvivere. Termina sorprendentemente solo 1 a 0 per loro, con grossissima papera del nostro portiere di riserva, che però da manuale, e per questo applaudito un po' da tutti, prima insulta lo stopper e poi dà la colpa al sole. Io ad un certo punto sbaglio uno stop, la palla carambola tra le gambe di uno dei ragazzini. Con un po' di buona volontà sembra un tunnel volontario, esulto con la maglia tirata sulla testa facendo il giro del campo.

Finalmente è finita, si contano i sopravvissuti. Poteva andare peggio.

Dai, il mese prossimo lo rifacciamo. Ci diciamo con convinzione. Si pensa, però, tutti alle tagliatelle.

giovedì 19 settembre 2013

Quando sarò vecchio voglio essere come lei


Pista ciclabile di via Pizzardi, una corsia disegnata sul marciapiede, tra gli alberi e i negozi. E' lungo la strada per casa, ma abbastanza lontana da lavoro, così che quando ci arrivo la fronte imperlata di sudore è solo un pallido sintomo del velo che mi appanna la vista.

Eppure la vedo da lontano. Esce dal fruttivendolo. Gonna grigia lunga, maglioncino rosa di cotone spesso. Calze color carne e una graziella verde acido. 80 anni sicuri, va per i novanta. Con fare malfermo, sistema la busta con peperoni e zucchine all'estremità sinistra, la scarola è a destra. Con lentezza e fatica monta in bici.


Stira il bordo del maglioncino, si dà una sistemata al casco lucido ed elegante. Mica il primo prezzo Decathlon. E parte con decisione occupando la sede stradale. Con un gesto calma un furgone irrequieto alle sue spalle. 


Per un po' pedaliamo affiancati. Io sulla ciclabile e lei a centro strada. Sguardo fiero e alto, che di tanto in tanto si abbassa a controllare le buste ciondolanti dal manubrio. Poi uno scatto sui pedali e mi lascia lì.


Col dorso della mani tiro via un po' di sudore e di stanchezza, la vedo allontanarsi. 

Quando sarò vecchio, voglio dire più vecchio, voglio essere come lei. 

Penso mentre svolta e la perdo per sempre.

Dovrò allenarmi parecchio, però.

venerdì 13 settembre 2013

Mani in alto e fuori il fascicolo



“Pronto Agricoltura? Chiamo dalla sede centrale. Ci sono qui i carabinieri, vogliono parlare con un dirigente”
“Ma i nostri dirigenti sono tutti lì per una riunione”
“Mi dispiace, i carabinieri sono già partiti e stanno arrivando da voi.”

Nel lungo corridoio si fa il punto tra i presenti. Ci rassicuriamo a vicenda che ci daremo una mano per gestire l'emergenza.

Più tardi, mentre sono al telefono, si affaccia un collega e mi fa il segno delle manette.
Metto giù immediatamente. Sono in 3 e in borghese. Due sono più alti di me, pelati e con un accenno di panza. Uno, il più giovane, è il poliziotto buono e accenna un sorriso. L'altro è quello cattivo. Mi guarda torvo, anche la panza incute timore. Il terzo è più basso, con dei baffi da quadro dell'ottocento e i capelli lunghi. E' vestito in modo trasandato. E' uno di quelli abituati ad infliltrarsi, si capisce subito.

“Posso esservi utile?”, dico.
Alle mie spalle sento il suono impercettibile delle porte degli altri uffici che si chiudono.
Inizio a pensare di aver commesso un errore.
“Non risponde, non risponde”, urla dall'ufficio di fianco un mio collega.
“Dobbiamo acquisire documentazione sui finanziamenti alle imprese”. Ma col tono di 'mani dietro la testa e in ginocchio'.
“Quale tipo di finanziamenti?”, chiedo per capire a chi indirizzarli.
“Quelli alle imprese. E' questo Sviluppo Economico?”, e per un attimo ho come l'impressione che abbia fatto scattare il fucile a pompa.
“Non risponde, non risponde”, urla dall'ufficio di fianco un mio collega.
“Sì, il Settore è questo. Ma qui ci occupiamo di agricoltura. Nella sede centrale c'è invece chi si occupa di attività produttive. Sono finanziamenti alle imprese agricole?”, chiedo ancora. Ed è probabilmente una delle cose più azzardate che io abbia mai fatto.
“Imprese e basta. Dov'è il capo?”. Ed ho l'impressione che l'infiltrato si sia spostato alle mie spalle pronto a colpirmi.
“Ci interessa il Progetto 307”, dice quello buono con un sorriso. Mettendosi tra me e l'infiltrato.
“Non risponde, non risponde”, urla dall'ufficio di fianco il mio collega.

“Prova a chiamare Michela - dico al collega - mi sembra sia lei la responsabile del progetto”. Le armi rientrano temporaneamente nella fondina.
Attimi di tensione. Il telefono squilla a lungo. Finalmente qualcuno risponde. Il collega fa un cenno di assenso.

“Abbiamo trovato chi ha i documenti – dico al cattivo, pesando le parole – solo, mi dispiace, dovreste tornare alla sede centrale. Il fascicolo è lì.”
“Ma noi cerchiamo Sviluppo Economico – ringhia facendo un passo verso di me – è questo?”.
“Sì, il Settore è questo. Ma qui ci occupiamo di agricoltura". Gli mostro la giugulare, per calmarlo.
"Nella sede centrale c'è chi si occupa di attività produttive ed ha seguito questo progetto”, aggiunge il mio collega dall'ufficio di fianco. Ma basta uno sguardo al manganello perché riprenda a mormorare, sempre più fievolmente, "Non risponde, non risponde" guardando nel vuoto.
“Qui c'è o no documentazione relativa al progetto?”. L'infiltrato scivola di nuovo dietro di me.
Sento il suo fiato.
Guardo il cattivo, poi guardo il buono. Cerco un po' di coraggio.
“No.”, con un filo di voce.
“Siamo sicuri?” e sento la cipolla cruda che l'infiltrato ha mangiato ieri, la sento dall'orecchio.
“Sì – sottolineo con convinzione e cenni del capo - perché qui ci occupiamo solo di aziende agricole. Non di questo progetto. Mentre in sede... vi faccio vedere l'organigramma?”.
“Abbiamo capito”. Si guardano tra di loro, io intanto mi metto a uovo per proteggermi. Il collega trattiene il respiro mentre scivola sotto la scrivania.
Ad un cenno del cattivo vanno via, senza salutare e con passi rumorosi lungo il corridoio buio.

Varcato l'ingresso le prime porte iniziano ad aprirsi. Lame di luce riportano il giorno, nell'aria il rosario di Radio Maria. Come sempre alle 11, la mia collega Tina ci tiene tanto.
Ci abbracciamo tutti.

Arrivano i dirigenti.


martedì 10 settembre 2013

Le vite degli altri, una recensione



E' un film che parla di comunisti e intercettazioni, ma non l'ha scritto Daniela Santanchè.

E' ambientato nella DDR e il protagonista è uno della Stasi che lo mettono a seguire uno scrittore di successo. Sto protagonista, HGW XX/7, è uno bravo. Ha una laurea e pure un master. Certe volte insegna all'università dei servizi segreti. Se ti interroga lui, preghi la Madonna che finisca presto. Ma, se preghi la Madonna, è pure peggio, perché i comunisti della DDR le cose religiose non le sopportano tanto.
Ha solo un problema, il protagonista, che la vita sua manca forse di un po' di brio. Nei feriali, o sta nascosto nel sottotetto a sentire le cose che si dicono lo scrittore e gli amici suoi intellettuali, o sta a rapporto dal capo suo: un biondino col culo per faccia e lo spirito di patata. Una volta torna a casa un po' prima, ringalluzzito dall'aver ascoltato lo scrittore che amplessava, e si concede un po' d'amore pure lui. A pagamento, però, con la signorina più brutta della DDR. Che lo lascia pure insoddisfatto perché ' a bello, la prossima volta prenotavi per un'ora'.

Lo scrittore, invece, è un figo. Ha una bella casa, si vede con gli amici, fa le feste, va a teatro e si accoppia con un'attrice. Che, nota a margine, s'accoppia anche con chiunque altro possa giovarle alla carriera, ma ama tantissimo lo scrittore. Tuttavia nel finale muore perché non attraversa sulle strisce.
Solo una cosa sto scrittore non fa mai, lavorare. Nei 7 anni che racconta il film lui scrive solo un articolo e un libro. Senza che il tenore di vita ne risenta minimamente. Anzi, alla fine va in giro in auto blu. Sarà ricco di famiglia.

Comunque, il protagonista tanto s'appassiona alle cazzate degli intellettuali del bel mondo che, nell'ombra, pure li aiuta. Risolve una crisi coniugale allo scrittore e ne copre l'ardito e audace gesto di scrivere un articolo sui suicidi nella DDR. Che mò noi magari pensiamo che non è che ci voglia tanto a scrivere un articolo così, tra l'altro facendolo pubblicare anonimamente. E invece lo scrittore ci pensa e ci ripensa, si consulta con gli amici intellettuali, per giorni e giorni. Tanto non hanno niente da fare. E alla fine si decide.
La Stasi s'insospettisce e allora va a casa sua per fargli un paio di domande. L'attrice che tanto lo ama l'ha denunciato. Il protagonista, però, riesce a nascondere le prove e a salvare lo scrittore , senza che questo manco se ne accorga. La Stasi s'incazza e degrada il protagonista, che dall'università passa a aprire le buste col vapore, e senza la malattia e le ferie pagate.

Poi cade il muro. Lo scrittore, tra una partita a golf e un bridge, scopre tutto nell'archivio della Stasi . Scopre che il protagonista l'ha aiutato falsificando i rapporti. Allora decide di cercarlo per ringraziarlo.
Gira e rigira lo trova, ora fa il postino. Di quelli a piedi col trolley. Dice all'autista della Rolls 'fermati'. Ma poi ci ripensa e tira dritto. Scrive un libro per raccontare sta storia. E ci fa un sacco di soldi.
Il protagonista postino, un giorno, vede il libro in libreria. Lo apre e legge la dedica in prima pagina: 'a HGW XX/7, con gratudine'.

Allora compra il libro e poi una mazza nodosa.
Attraversa tutta Berlina smadonnando e santiando. La camera lo segue con una carrellata.
Smadonnando e santiando arriva sino a casa dello scrittore.
Citofona e gli dice: 'Wendy, sono io”.
Poi sale e gli va a dire un paio di cose.  

mercoledì 4 settembre 2013

La cultura tira, più di un carro di buoi

La cultura tira, più di un carro di buoi.

L'animatrice sovrappeso mi guarda languida, con l'occhio spento dalla maria o dal poco sonno. Mi propone il tressette delle quattro o la corrida alle 9. 'No grazie, ho un impegno', le dico fingendo dispiacere e mi rituffo nella lettura della gazzetta.


Il pomeriggio è caldo, il sole picchia. Alla fine della spiaggia c'è una grotta, oggi aperta per le visite. Casco arancio e occhi azzurri che si muovono veloci. È la guida. 'Un biglietto', dico subito. Le mani sottili illustrano gli apogei primitivi e sistemano i biondi ciuffi ribelli dietro le orecchie. 'Era inizialmente un luogo di culto'. Annuisco con attenzione. Si sistema il foulard intorno al collo, lasciando scoperta la scollatura. 'Successivamente nella grotta furono costruite capanne, si vedono ancora i fori per fissare i pali'. Guardo i fori brevemente, il poco che basta per non far sembrare eccessivamente insistente lo sguardo che segue i motivi floreali del suo vestito. 'Abbiamo ritrovato molti utensili, questa è la riproduzione di un chopper'. E mi porge una pietra scheggiata. La soppeso, ne seguo l'orlo tagliente con la punta dell'indice. Gliela ripasso, le dita si sfiorano. 'Infine fu utilizzata come luogo di sepoltura, quelle sono le nicchie che contenevano i corpi'. Guardo le nicchie, proprio dietro le sue gambe snelle e abbronzate. 'La visita finisce qui. Per chi vuole c'è in vendita un opuscolo illustrato".

Ne prendo due copie.

L'animatrice sovrappeso mi guarda languida, con l'occhio spento dalla maria o dal poco sonno. Mi propone il gioco aperitivo. 'Non posso - le dico secco - sto leggendo una cosa importante'. E mi rituffo nelle illustrazioni dell'opuscolo.


La cultura tira, più di un carro di buoi.


martedì 20 agosto 2013

Un amore scoppiettante


Dormi. Con un sonno leggero leggero, minato dal caldo e dall'adrenalina per un calcetto concluso da poco. 

Ti sveglia all'improvviso la contraerea. Prima il sottile e persistente fruscio delle raffiche di mitra. Poi i colpi isolati di mortaio che fanno tremare i vetri. Arriva alla fine, ma già te l'aspetti, la batteria di missili in un crescendo concitato. Esplodono con fragore e illuminano a giorno la camera da letto con vivide striature di luce disegnate dalla veneziana semiaperta.

In sottofondo un cantante neomelodico ti racconta il suo amore per Carmela e la frittata di maccheroni.

Quando apri gli occhi sei sudato e asciughi le gocce di paura con un cuscino già fradicio. Pensi ai racconti di guerra di tuo nonno, agli sfollamenti. Hai l'istinto di scappare, ma dura solo un attimo.


Quello che ti serve per ricordarti che abiti di fronte ad un ristorante da matrimoni che al termine dei ricevimenti offre sempre agli sposi i fuochi d'artificio. 

Fatti esplodere nel cortile della scuola di fronte casa.
Abusivamente.