domenica 22 giugno 2014

La prima maledetta


Da ragazzini si giocava in spiaggia tutti i giorni, da fine giugno a inizio settembre. Tra l'ultima fila degli ombrelloni e le cabine in muratura. Partite anche 11 contro 11, rigorosamente da mezzogiorno in poi. Si smetteva solo quando evidenti ragioni mediche, o mamme urlanti dall'ombrellone, fissavano il risultato finale. 

A volte la sabbia scottava così tanto, il sole picchiava così forte, che l'unica cosa da fare era scavare una buca nella sabbia e rimanere lì impietriti sperando che il pallone andasse da un'altra parte. 


Si giocava col SuperSantos, ne erano necessari almeno un paio a partita perché il primo si perdeva sempre nella pineta al di là della rete. Qualche volta, quando buttava male e i tiri sbilenchi avevano il sopravvento, si ricorreva anche ai SuperTele dei fratellini minori. Fu proprio in una di quelle occasioni, anche se nessuno lo sa, che nacque la maledetta. Prima di Pirlo, prima di Roberto Carlos. 


Eravamo allo scadere, lo si capiva dalla mamma del portiere che, prendisole azzurro e borsa di tela a tracolla, ci fissava da dietro la porta. L'ala sinistra si accorse di una palla vagante al limite dell'area e fece per andarle incontro. Cadde. Ci fu chi gridò al rigore, chi alla punizione, chi invece alla simulazione. Nella confusione decise la mamma del portiere: era rigore, ma poi si andava via.


Presi la palla con decisione e dopo una breve contrattazione con il capitano avversario stabilimmo l'equa distanza per il dischetto del rigore: circa a metà campo. Preparai allora la collinetta sulla quale adagiare il SuperTele giallo. Feci attenzione che la valvola fosse dalla parte che avrei colpito.


Nel frattempo il portiere si esibì nel suo rituale. Aggiustò i pali, estraendo e reinserendo, dopo averle ripulite dalla sabbia, le ciabatte destra e sinistra di sua sorella. Per innervosirmi calcò col piede destro la riga di porta in un lento moonwalking.


Lo fissai a lungo e lui fissò me. Decisi per la rincorsa breve, per non dargli punti di riferimento. Quando sua mamma mi diede il via indicando indispettita l'orologio, feci un mezzo passo e calciai con tutta la forza che avevo verso il palo destro. 


Colpii con l'alluce. La palla si impennò immediatamente. Era già a metà tragitto quando con calcolato effetto, e soprattutto l'aiuto del vento che da terra andava verso il mare, cambiò improvvisamente direzione puntando verso il basso e a sinistra. Il portiere rimase immobile, sbilanciato irrimediabilmente. Potè solo osservare la palla che acquistava velocità ad ogni giro su se stessa. Come una saetta andò a schiantarsi sulla punta della ciabatta. Palo.


'Maledetta', urlai. Ma era finita. Il portiere fu portato in trionfo dalla mamma che lo teneva per un orecchio. Gli altri già correvano urlando verso il mare. 


In silenzio, a metà guancia, evaporò la lacrima che versai.


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