Il venerdì, pesce.
Occhio vispo, fin da subito.
Ci
vediamo in giro, ci scambiamo esche.
Quella
giusta combina un invito a cena per giovedì.
Un
Greco di Tufo che sa di albicocche e pere scioglie gramigna con zucca
e salsiccia.
Veloci
corrono i bicchieri, ma ancora di più le chiacchiere.
Ultimo
arriva il fatale divano. Che spegne le parole, ma solo quelle.
Praticamente sconosciuti facciamo cose insieme per approfondire.
La spesa, per esempio, per un'altra cena.
La spesa, per esempio, per un'altra cena.
Enoteca di fiducia: un Colomba Platino fresco e fruttato.
Bottega
di quartiere: cimette di rapa napoletane, patate calabresi e aglio
bio del salento.
Gran
finale all'Esselunga: cuore di baccalà pronto da cuocere.
L'indomani. Occhio vitreo, fin da subito.
Ci
vediamo il minimo, ci scambiamo scuse.
Quella
giusta infine rimanda ad un aperitivo.
Finisce
con un refosco che sa di spirito per mandar giù pizzette stagionate.
Lenti
scorrono i minuti, ma ancora di più gli sguardi vuoti.
Ultimo
arriva il sospiro di quando metto in moto l'auto.
Ci
penso e ci ripenso.
E'
tutta colpa del baccalà. E di mia mamma.
Molto bello questo racconto, molto poetico. Ma essendo una storia ad un passo dall'essere vera è anche un po' dolorosa.
RispondiEliminaTi toglierò la poesia, come mio solito, esponendo la mia teoria: ho paura che non sia colpa del baccalà, ma dell'aglio.
Se si ferma davanti all'aglio però non è amore, è vampirismo.
:-)
RispondiEliminala storia, seguendo il tuo spunto, sarebbe stata molto più interessante. mannaggia che non ci ho pensato!
(in realtà avevo uno scontrino del baccalà e tutto il processo immaginifico è partito da lì)